Lo strike e il cambio di regime
Israele può attaccare l’Iran? Sì, secondo Bret Stephens, l’asso degli editorialisti del Wall Street Journal già direttore del Jerusalem Post. Non solo. Bisogna andare oltre l’attacco preventivo e liberarsi non soltanto di Qom e Isfahan, le diaboliche fornaci atomiche dei mullah, ma del regime stesso che è apocalittico e potenzialmente genocida. “La Repubblica islamica vuole distruggere Israele. Se Israele vuole sopravvivere, deve promettere di fare lo stesso”.
Israele può attaccare l’Iran? Sì, secondo Bret Stephens, l’asso degli editorialisti del Wall Street Journal già direttore del Jerusalem Post. Non solo. Bisogna andare oltre l’attacco preventivo e liberarsi non soltanto di Qom e Isfahan, le diaboliche fornaci atomiche dei mullah, ma del regime stesso che è apocalittico e potenzialmente genocida. “La Repubblica islamica vuole distruggere Israele. Se Israele vuole sopravvivere, deve promettere di fare lo stesso”. Stephens solleva un tema spesso usato, in modo fallace, dai critici dell’attacco preventivo israeliano: non si possono fermare i piani del khomeinismo soltanto bombardando dall’alto le sue postazioni militari, serve un regime change. Un nuovo Iran.
Su Newsweek Niall Ferguson ha appena paragonato lo strike israeliano alla “nuova guerra del 1967”, quando i Mirage di Gerusalemme diedero il via a incredibili incursioni sugli aeroporti militari iracheni, giordani, siriani ed egiziani e in un giorno, il 5 maggio 1967, distrussero 367 aerei, salvando il paese dalla distruzione. Quella guerra lampo finì con una vittoria travolgente. Stephens sostiene che se non si distrugge il regime iraniano, Israele si troverà di fronte a una nuova guerra dello Yom Kippur. Alle 13,40 del 6 ottobre 1973, mentre tutta Israele digiuna al tempio, le sirene annunciano che il paese è stato attaccato da Siria ed Egitto. Il fronte si sposta in avanti senza remissione verso il cuore dello stato ebraico e sui confini muoiono i soldati di leva bruciati da siriani ed egiziani dentro i loro carri armati. Abba Eban parla di “una nuova Pearl Harbor”. C’è chi intravede persino un “nuovo Olocausto”. Fu una guerra che uccise 2.701 soldati israeliani.
Una enormità per un paese così piccolo. Tutti si mobilitano: coperte, transistor, cibo, persino i vecchi corrono a portarli al fronte. Israele sopravvive, ma non ha mai rischiato tanto dalla guerra del 1948. Oggi come allora ci sono 200 mila missili puntati sullo stato ebraico. Se stavolta non si va fino in fondo, se non si distrugge per sempre questa triangolazione apocalittica formata da Hezbollah-Iran-Hamas che ha a Teheran il proprio basamento, a Tel Aviv potrebbe fare davvero molto caldo in un futuro non troppo distante.
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