In America è guerra tra conservatori e libertari attorno al Cato Institute

Redazione

I fratelli Koch sono sempre più scatenati. Negli ultimi mesi i misteriosi David e Charles Koch, co-fondatori del Tea Party, possessori del secondo impero privato americano secondo la classifica Forbes, un conglomerato che produce derivati dal petrolio con un fatturato annuo da 100 miliardi di dollari, hanno intensificato i loro sforzi per contrastare il presidente democratico Barack Obama. Al punto che adesso hanno fatto causa al Cato Institute, cioè una delle loro creature più blasonate.

di Marco Valerio Lo Prete e Michele Masneri

    I fratelli Koch sono sempre più scatenati. Negli ultimi mesi i misteriosi David e Charles Koch, co-fondatori del Tea Party, possessori del secondo impero privato americano secondo la classifica Forbes, un conglomerato che produce derivati dal petrolio con un fatturato annuo da 100 miliardi di dollari, hanno intensificato i loro sforzi per contrastare il presidente democratico Barack Obama. I Koch da anni non sono solo i principali finanziatori dei critici del global warming (spendendo secondo Greenpeace 55 milioni di dollari all’anno) ma sono soprattutto convinti libertari. Finora avevano preferito agire nell’ombra, se si esclude la candidatura di David nel 1980 nel ticket con il candidato del partito libertario Ed Clark: il programma prevedeva l’abolizione del welfare, delle tasse sulle imprese, dei sussidi all’agricoltura, delle agenzie federali comprese Fbi e Cia, la legalizzazione delle droghe e della prostituzione. Da allora preferiscono finanziare enti e movimenti come il Cato Institute, think tank di area libertaria, fondato dai due fratelli nel 1977. O, più recentemente, la fondazione Americans for Prosperity, creata nel 2004, principale sostenitore del Tea Party e colonna portante – sostiene il New York Times – della campagna elettorale del 2010 che ha portato i Repubblicani a conquistare la maggioranza della Camera dei rappresentanti.

    Ultimamente però i fratelli, complice la campagna elettorale per la Casa Bianca, sembrano sempre più irrequieti. Al punto che adesso hanno fatto causa al Cato Institute, cioè una delle loro creature più blasonate. Secondo il presidente del Cato, Ed Crane, “è un tentativo di trasformare l’istituto da ente di ricerca non schierato in un’entità politica che possa meglio supportare l’agenda di Charles Koch”. Nel movimento libertario si parla di “opa ostile” da parte della destra conservatrice. Con le primarie repubblicane in corso, i fratelli Koch si sarebbero stufati delle posizioni “da puristi” libertari e vorrebbero contestare più esplicitamente Obama. “Cos’è che il nostro think tank sostiene e che nessun altro ha il coraggio di sostenere? – scrive Jason Kuznicki, ricercatore del Cato – Per esempio che il militarismo non è la politica estera più adatta al libero mercato. Che la guerra alla droga non solo è inutile in un libero mercato, ma che porre fine alla stessa vorrebbe dire rispettare principi liberali. E infine che la libertà di comprare e vendere beni diventa una barzelletta se non è accompagnata da diritti e libertà civili per tutti. Questo è il Cato. E questo è quello che i fratelli Koch vogliono distruggere”. Secondo Forbes, che titola “salvate il Cato Institute”, i Koch “hanno passato gli ultimi mesi a infilare nel think tank gente a loro gradita ma ostile al movimento libertario”. E gli esempi non mancano: dall’ingresso nel board di Nancy Pfotenhauer, già portavoce del candidato repubblicano John McCain e sostenitrice della guerra in Iraq, a John Hinderaker, sostenitore del Patriot Act, la legge anti terrorismo accusata di comprimere le libertà civili, passando per Tony Woodlief che ha definito il pensiero libertario “una religione difettosa e fallita”.

    Quello che per alcuni è uno scontro decisivo tra conservatorismo e libertarismo, per i fratelli Koch è solo un affare giudiziario. Tecnicamente, hanno depositato una citazione presso un tribunale del Texas contro il presidente del Cato, Crane, e la vedova dell’ex presidente, William Niskanen, che avrebbe ereditato la quota del marito. I Koch sostengono che ciò sia illegale, pretendendo di avere la prelazione sulle quote dell’istituto che passano di mano, come previsto da un “patto di sindacato” tra gli azionisti. Così, tra aule giudiziarie e vecchi cavilli da capitalismo di relazione, rischia di concludersi l’onorata carriera di un pensatoio libertario.

    di Marco Valerio Lo Prete e Michele Masneri