
Giro di poltrone
Lo strano imbarazzo della Farnesina per le nomine segrete agli Esteri
Fonti della Farnesina fanno notare che c’è qualcosa d’irrituale nel modo felpato, per non dire segreto, con cui il Consiglio dei ministri ha disposto venerdì scorso un giro di poltrone diplomatiche. Il Foglio ha potuto consultare una copia della notifica del governo, non ancora resa pubblica, che coinvolge alcune sedi di primo piano: cambiano gli ambasciatori di Pechino, Berlino, Parigi, Bruxelles, Nuova Delhi, Madrid, Il Cairo, Baghdad, Brasilia, oltre a undici diplomatici di sedi minori.
Fonti della Farnesina fanno notare che c’è qualcosa d’irrituale nel modo felpato, per non dire segreto, con cui il Consiglio dei ministri ha disposto venerdì scorso un giro di poltrone diplomatiche. Il Foglio ha potuto consultare una copia della notifica del governo, non ancora resa pubblica, che coinvolge alcune sedi di primo piano: cambiano gli ambasciatori di Pechino, Berlino, Parigi, Bruxelles, Nuova Delhi, Madrid, Il Cairo, Baghdad, Brasilia, oltre a undici diplomatici di sedi minori. Abbastanza per cambiare la fisionomia della politica estera italiana, passo piuttosto deciso per quello che comunque rimane un governo dal profilo tecnico. Le fonti di Palazzo Chigi dicono che non c’è nulla di strano: “Il Consiglio dei ministri ha proceduto la scorsa settimana a un movimento diplomatico che, conformemente alla prassi, sarà reso noto al termine delle procedure di concessione del gradimento da parte dei paesi interessati”, spiegano, anche se in molti altri casi le nomine sono state rese pubbliche prima dell’accreditamento presso i governi stranieri. Esempio: la notizia che Giulio Terzi, attuale ministro degli Esteri, fosse stato nominato ambasciatore a Washington era stata diffusa il 31 luglio 2009, quasi due mesi prima che il governo americano comunicasse il suo gradimento. Le fonti fanno notare diversi motivi di potenziale imbarazzo per il governo: il primo ha a che fare con i nomi scelti.
La nomina di Elio Menzione a Berlino (sede vacante dopo la salita di Michele Valensise alla direzione della segreteria generale) ha sorpreso alcuni osservatori, visto che nel corposo curriculum del diplomatico si trovano incarichi a Giacarta, New York, Lima, Pretoria, L’Avana e infine Bogotá, sedi non proprio d’ambientazione teutonica. Dalla sua, Menzione ha la conoscenza della lingua. A Madrid va Pietro Sebastiani, già capo della rappresentanza permanente dell’Onu a Roma ed ex consigliere diplomatico di Pier Ferdinando Casini, che si dice abbia avuto un ruolo nell’agevolare la nomina. L’inviato per l’area mediterranea, Maurizio Massari, è destinato all’ambasciata del Cairo, mentre Giandomenico Magliano si insedierà a Parigi, al posto di Giovanni Caracciolo di Vietri, che in dicembre raggiungerà il limite dei 65 anni. L’ambasciatore a Teheran, Claudio Bradanini, va a sostituire Massimo Iannucci a Pechino, sede delicata dove il nuovo nominato – molto gradito al Pd – aveva già prestato servizio. Alfredo Bastianelli, attuale titolare dell’ambasciata di Nicosia, sarà il nuovo ambasciatore a Bruxelles e rileverà Leonardo Visconti di Modrone, anche lui prossimo al pensionamento. Massimo Marotti viene assegnato a Baghdad, mentre Raffaele Trombetta si insedierà a Brasilia.
Il complicato groviglio diplomatico attorno al caso dei Marò italiani rende delicato l’arrivo di Daniele Mancini, lontano per curriculum dallo scenario indiano. Ed ecco il secondo motivo di potenziale imbarazzo: per quanto il giro di poltrone sia in parte forzato da una serie di pensionamenti in vista, qualcuno dice che cambiamenti troppo volatili non mettono in luce la lungimiranza del governo italiano nella gestione di una diplomazia che ha soprattutto bisogno di stabilità. Ma in controluce c’è un terzo e più prosaico motivo per spiegare la circospezione del governo: i costi. La commissione Bilancio al Senato sta considerando il taglio del 20 per cento del personale dirigenziale, misura giudicata “insostenibile” dalla commissione Affari esteri, che nel parere di venerdì ha convenuto, in sostanza, che i diplomatici non vanno toccati, ma occorre tagliare altri organi periferici della Farnesina. (segue dalla prima pagina)
“Mandano in pensione i diplomatici perché così scaricano il peso sull’Inps e possono mostrare che il budget della Farnesina è virtuoso. Ma per farlo devono fare scelte forzate e sconvenienti da dire pubblicamente”, spiega una fonte. Non è ancora chiara la tempistica con cui i nuovi ambasciatori si insedieranno, così come ancora non si sa chi andrà a sostituire Ferdinando Nelli Feroci alla (strategica) rappresentanza permanente presso l’Unione europea.
C’è un altro dossier sottotraccia che agita diversi abitanti della Farnesina, quello dei Marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, detenuti da cinque mesi in India con l’accusa di avere ucciso, il 15 febbraio scorso, due pescatori indiani. Diverse fonti dicono che nei fascicoli del ministero ci sia una nota scritta da Franco Frattini, quando era il titolare della Farnesina, in cui si sconsiglia fortemente l’impiego di militari italiani nella protezione dei mercantili nelle acque indiane, perché i problemi di giurisdizione che un eventuale scontro a fuoco creerebbe sarebbero impossibili da gestire, dati i già complessi rapporti fra Roma e Nuova Delhi anche su faccende molto meno spinose.
L’esistenza della prova che un incidente nelle acque indiane fosse prevedibile (e previsto) complicherebbe ulteriormente la posizione dell’attuale titolare della Farnesina, Giulio Terzi, il quale nella gestione del caso ha mostrato qualche incertezza che qualcuno al ministero non manca di sottolineare. Il Foglio non è stato in grado di raggiungere Frattini per una conferma, ma chi ha visto le carte riservate dice che si tratta addirittura di un dossier, precipitato sulla scrivania di Mario Monti in concomitanza con la fase acuta della trattativa con l’India.


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