_492x275_1596809145721.jpg)
La carta a sorpresa di Marchionne ora si chiama modello Canada
Il sindacato canadese dell’auto ha raggiunto un accordo con Ford e adesso le trattative verranno estese a General Motors e Chrysler. L’intesa prevede in sostanza uno scambio tra paghe e posti di lavoro. Verranno assunti 600 operai con salari d’ingresso, esattamente come oltre frontiera negli impianti statunitensi. Il doppio livello viene esteso a dieci anni e la scala mobile sospesa fino a giugno 2016. Negli ultimi tre anni del contratto (valido per un quadriennio), i lavoratori riceveranno duemila dollari canadesi una tantum. Chi ne ha diritto otterrà anche un bonus di tremila dollari legato alla produttività.
Leggi Corriere e Stampa, due grandi ossessioni del capitalismo italiano - Leggi I perché della strategia flemmatica di Palazzo Chigi su Fiat di Alberto Brambilla - Leggi Così Diego lo Scarparo e Sergio il Carrettiere fanno baruffa al mercato di Alessandro Giuli
Roma. Il sindacato canadese dell’auto ha raggiunto un accordo con Ford e adesso le trattative verranno estese a General Motors e Chrysler. L’intesa prevede in sostanza uno scambio tra paghe e posti di lavoro. Verranno assunti 600 operai con salari d’ingresso, esattamente come oltre frontiera negli impianti statunitensi. Il doppio livello viene esteso a dieci anni e la scala mobile sospesa fino a giugno 2016. Negli ultimi tre anni del contratto (valido per un quadriennio), i lavoratori riceveranno duemila dollari canadesi una tantum. Chi ne ha diritto otterrà anche un bonus di tremila dollari legato alla produttività. Nell’insieme il costo del lavoro per l’azienda si ridurrà di 19 dollari l’ora (oggi paga 79 dollari in media). L’impianto ricalca il contratto di un anno fa alla Chrysler e negli altri gruppi statunitensi. E’ il modello americano che Sergio Marchionne vuole introdurre in Italia. Non un sistema alla cinese come è stato scritto, né alla serba secondo il racconto che ne fa un reportage del Fatto. Ma a stelle e strisce. Nel gennaio 2011 sempre a Ezio Mauro sulla Repubblica, il manager dal maglioncino nero aveva detto: “La mia sfida per la nuova Fiat sarà salari tedeschi e azioni agli operai”. E’ passata una vita da allora. Gli operai della Volkswagen guadagnano ancora 2.500 euro netti al mese, quelli della Fiat 1.300 o giù di lì.
E’ duro il modello americano. E nelle fabbriche risuonano toni da lotta di classe. L’Uaw ha cancellato un voto sull’accordo aziendale nel complesso di Toledo (Ohio) che produce Jeep Wrangler e Liberty e occupa 1.750 dipendenti. La ragione è semplice: la maggioranza era contraria, dunque poteva accadere come alla Chrysler di Dundee, nel Michigan, che fabbrica motori dove la base ha respinto l’intesa raggiunta con l’azienda che costringe gli operai a fare turni fino a 12 ore al giorno per sette giorni la settimana (altro che Pomigliano). Gli uomini di Marchionne non hanno nessuna intenzione di riaprire la trattativa, e contano sul fatto che nel 2009 il sindacato ha firmato la rinuncia allo sciopero per quattro anni, durante i quali venivano congelati i salari contrattuali, in cambio del salvataggio operato dal governo, dalla Fiat e dalla stessa Uaw.
Tempi moderni. Tempi amari. In cambio, aumentano gli occupati anche nell’automobile. Unico posto al mondo se si escludono i nuovi giganti dell’Asia o gli emergenti dell’America latina. Il confronto che qui viene fatto con la Polonia (dove lo stipendio medio inclusi gli straordinari arriva nell’impianto di Tychy a 1.185 euro e il salario medio sta attorno agli 800 euro) se non con la Serbia, negli Stati Uniti o in Canada lo si fa con il Messico, membro della stessa area di libero scambio (il Nafta). La fine del protezionismo ha riproposto in termini diversi la concorrenza sul mercato del lavoro, l’esercito industriale di riserva ha ormai una dimensione mondiale.
Tempi difficili in America. Tempi nei quali il sindacato rinuncia allo sciopero non perché non lo consideri un diritto e un’arma fondamentale, ma perché sa calcolare con realismo i rapporti di forza. La Uaw vuol difendere chi il posto ce l’ha già dal rischio di licenziamento e apre le porte ai giovani che non ce l’hanno ancora. Pagando prezzi pesanti, come il doppio livello salariale. I nuovi assunti guadagneranno meno e a lungo, anche se il salario d’ingresso è ancora soltanto del 10 per cento inferiore al minimo contrattuale nelle fabbriche Fiat nordamericane (in Italia non c’è differenza). Contraddizioni in seno al popolo. Ma l’industria non chiude, i ragazzi non stanno a spasso. E il cosmopolita Marchionne non capisce perché non possa funzionare anche in Italia.
Leggi Corriere e Stampa, due grandi ossessioni del capitalismo italiano - Leggi I perché della strategia flemmatica di Palazzo Chigi su Fiat di Alberto Brambilla - Leggi Così Diego lo Scarparo e Sergio il Carrettiere fanno baruffa al mercato di Alessandro Giuli


Il Foglio sportivo - in corpore sano
Fare esercizio fisico va bene, ma non allenatevi troppo
