Dare di “selvaggio” a un terrorista

Redazione

 

In qualsiasi guerra fra l’uomo civilizzato e il selvaggio, sostieni l’uomo civilizzato. Sostieni Israele. Sconfiggi il jihad”. Così si può leggere su una pubblicità apparsa una settimana fa sui muri della metropolitana di New York City. Sponsorizzata dall’American Freedom Defense Initiative di Pamela Geller, la pubblicità mirava a provocare, e lo ha fatto. Sono fioccate denunce, gli attivisti hanno attaccato adesivi con scritto “razzista” e “incitamento all’odio” sulle pubblicità, e un’attivista e giornalista egiziano-americana si è perfino fatta arrestare dopo aver ricoperto un poster di vernice rosa.

di William McGurn

     

    In qualsiasi guerra fra l’uomo civilizzato e il selvaggio, sostieni l’uomo civilizzato. Sostieni Israele. Sconfiggi il jihad”.
    Così si può leggere su una pubblicità apparsa una settimana fa sui muri della metropolitana di New York City. Sponsorizzata dall’American Freedom Defense Initiative di Pamela Geller, la pubblicità mirava a provocare, e lo ha fatto. Sono fioccate denunce, gli attivisti hanno attaccato adesivi con scritto “razzista” e “incitamento all’odio” sulle pubblicità, e un’attivista e giornalista egiziano-americana si è perfino fatta arrestare dopo aver ricoperto un poster di vernice rosa. L’opinione dell’establishment è virata velocemente verso il consenso: mentre le parole possono essere lette come “piene d’odio”, “una pubblicità offensiva” ha tuttavia il “diritto di offendere”, per dirla come il Washington Post. Un rabbino ha sintetizzato efficacemente l’ortodossia dei media nel titolo della sua rubrica per la Cnn: “Incitare all’odio è un diritto, condannarlo è un dovere”.

    Di certo questo è un modo di interpretare quella pubblicità. Ma, di nuovo, la gran parte degli americani probabilmente la leggerà nel modo in cui è scritta: Israele è una nazione civilizzata sotto attacco di persone che compiono atti barbarici in nome del jihad. Qualsiasi fosse l’intenzione, la domanda resta: quale parte dell’affermazione non risponde a verità? Ah, ma l’uso della parola “jihad” incrimina intrinsecamente tutti i musulmani, dicono i critici. Ci sono milioni di musulmani pacifici per i quali il termine jihad indica semplicemente una ricerca spirituale. Quindi perché così tante persone associano jihad con omicidio e brutalità? Forse perché la violenza è così spesso il biglietto da visita dei jihadisti? Forse perché alcuni di quei killer addirittura incorporano la parola jihad nel nome delle loro organizzazioni terroristiche, come il Jihad islamico palestinese? Questo di certo non è il significato esclusivo di jihad, ma di sicuro è uno dei significati – ed è quello che più probabilmente verrà recepito da chi usa la metropolitana di New York.

    Lo stesso vale per “selvaggio”. Il reperto A è fornito dal dizionario Oxford on line, che definisce selvaggio “una persona malvagia e brutale”. Ci sono innumerevoli reperti B, ma lasciate che io mi appelli a uno dei più significativi. C’è una foto della Reuters apparsa sulla prima pagina del New York Times del 1° settembre 2004: mostra un autobus disintegrato da un attentatore suicida. Pur non essendo né sanguinosa né cruda, la foto è comunque scioccante, perché ritrae il corpo senza vita di una giovane donna che penzola da un finestrino. Il pezzo del Times aggiungeva questo dettaglio riguardante la reazione a quell’attacco. “A Gaza – c’era scritto – migliaia di sostenitori di Hamas hanno festeggiato in strada, e l’Associated Press riporta che una delle vedove dell’attentatore ha celebrato l’attacco perché ‘eroico’ e ha detto che lo spirito del marito era ‘felice in paradiso’”. Esiste una qualsiasi parte di questa frase che non sia selvaggia?

    Due anni fa, sulla copertina di Time c’era una foto di una diciottenne afghana alla quale i talebani avevano tagliato le orecchie e il naso. Questo fine settimana, un gruppo jihadista affiliato ad al Qaida ha lanciato granate contro una chiesa anglicana in Kenya, uccidendo un bimbo di nove anni. Alla luce di queste atrocità, “selvaggio” pare profondamente inadeguato.

    Il fatto è che ciò che rende selvaggio qualcuno non è la religione che professa. Sono le azioni che compie. Nonostante le moltitudini di ebrei e di cristiani vittime di attacchi, quelli che subiscono maggiormente il peso di questa barbarie sono musulmani innocenti che si vedono prendere di mira – nelle loro moschee, nei loro mercati, alle feste di matrimonio – solo perché appartengono alla parte politica o religiosa sbagliata.

    Pare che le persone in Libia capiscano questo concetto meglio del presidente degli Stati Uniti. I libici sanno che una società civilizzata è quella dove il più forte protegge il più debole. Hanno votato con questo principio in mente a luglio, quando hanno rifiutato gli islamici radicali nelle prime elezioni libere dopo il rovesciamento della dittatura di Muammar Gheddafi. Il problema dei libici è che gli estremisti sono meglio armati e meglio organizzati rispetto al governo che hanno eletto, il che lascia i forti liberi di dare la caccia ai più deboli.

    Tornando all’America, da tutta la sdolcinata indignazione su quanto le pubblicità della metropolitana incitino all’odio ma siano comunque da difendere pare emergere l’idea che la bellezza del Primo emendamento sia che ci si possa insultare reciprocamente sulla religione che professiamo. Ovviamente questo a volte è il prezzo da pagare per il Primo emendamento, ma la sua gloria sta nel fatto che è la chiave di volta nella costruzione di una società libera, autoregolamentata, in cui i cittadini sanno bene che il fatto che qualcuno dica qualcosa di disgustoso sulla tua fede non ti autorizza a ucciderlo.

    I nostri spazi pubblici sono diventati qualcosa di davvero stravagante, grazie alla nuova correttezza politica. Puoi far circolare il tuo video porno su Internet, e ottenerne un tuo show televisivo; puoi fotografare un crocifisso in un barattolo d’urina e i nostri musei si litigheranno la possibilità di esporlo; puoi occupare la proprietà di qualcun altro e sarai acclamato dal presidente per la tua profonda coscienza sociale.
    Ma chiama “selvaggio” chi fa saltare in aria, decapita o mutila altre persone – e l’educata società ti troverà offensivo.
       
    di William McGurn
    giornalista e scrittore è stato speechwriter di George W. Bush dal 2006 al 2008

    Copyright Wall Street Journal
    per gentile concessione
    di MF/Milano Finanza
    (traduzione di Marion Sarah Tuggey)