Dopo Gaza, l'Onu

Redazione

Nonostante la posizione contraria degli Stati Uniti – Hillary Clinton nei giorni scorsi a Ramallah ha chiesto al presidente Abu Mazen di posticipare l’iniziativa diplomatica – il cammino all’Onu dell’Autorità nazionale palestinese non si ferma. Il 29 novembre i palestinesi si avviano a ottenere il seggio di paese membro senza diritto di voto all’Assemblea generale, dove detengono una maggioranza automatica.

    Nonostante la posizione contraria degli Stati Uniti – Hillary Clinton nei giorni scorsi a Ramallah ha chiesto al presidente Abu Mazen di posticipare l’iniziativa diplomatica – il cammino all’Onu dell’Autorità nazionale palestinese non si ferma. Il 29 novembre i palestinesi si avviano a ottenere il seggio di paese membro senza diritto di voto all’Assemblea generale, dove detengono una maggioranza automatica. Si tratta di un lungo disegno di Abu Mazen, che si trasforma oggi in una mossa disperata per il leader palestinese, isolato dal ruggito guerresco di Hamas e ignorato persino dagli emiri qatarioti in visita nella regione. Con il passaggio all’Onu, l’Anp cerca uno stratagemma per sottrarsi ai problemi interni – su tutti, la crisi di leadership  di Abu Mazen e l’ormai cronico rallentamento della crescita economica in Cisgiordania – e per rinsaldare il proprio declinante ruolo nella regione. Anche l’Europa, pur favorevole alla creazione di uno stato palestinese entro i confini del 1967, è quasi tutta schierata contro l’iniziativa all’Onu, tranne una sparuta truppa di paesi nordici (il resto, dalla Francia alla Germania, deve decidere se astenersi o votare contro).

    Israele si prepara a ritorsioni fattive contro la fuga palestinese dal tavolo dei negoziati e l’internazionalizzazione del conflitto. Per lo stato ebraico, il rischio maggiore che ne deriva è che i palestinesi usino la nuova posizione nella comunità internazionale per far incriminare i generali israeliani di fronte alla Corte dell’Aia. La maggioranza degli israeliani vede lo stato palestinese, che in prospettiva uscirebbe rafforzato dal nuovo status, in termini contraddittori: una necessità per preservare uno stato ebraico democratico, e una minaccia con i missili su Tel Aviv. Il dilemma è come creare questo stato senza porre in pericolo Israele. L’iniziativa all’Onu è pericolosa proprio perché di fatto ignora la sicurezza israeliana. Non a caso nei giorni scorsi, su Gaza, è emersa tutta l’ipocrisia del Palazzo di Vetro. A riprova ci sono venti lettere inviate dai diplomatici israeliani soltanto nel 2012 per chiedere all’Onu non una risoluzione, ma almeno una dichiarazione, contro il lancio di missili da Gaza sui civili israeliani. Tutte rimaste ignorate.