Intervenire a Damasco
Sulla Siria siamo ostaggi di un pensiero circolare, che procede in quattro punti. Punto uno: non aiutiamo i siriani in guerra contro il governo di Assad perché temiamo di aiutare anche i gruppi estremisti che stanno con al Qaida. Punto due: senza un aiuto concreto dall’esterno, i siriani non reggono l’urto con la repressione militare ordinata dal governo di Assad. Punto tre: i siriani massacrati a migliaia corrono davvero ad abbracciare i gruppi estremisti che stanno con al Qaida. Punto quattro, e a capo: non aiutiamo i siriani in guerra contro il governo di Assad perché temiamo di aiutare anche i gruppi estremisti che stanno con al Qaida.
Sulla Siria siamo ostaggi di un pensiero circolare, che procede in quattro punti. Punto uno: non aiutiamo i siriani in guerra contro il governo di Assad perché temiamo di aiutare anche i gruppi estremisti che stanno con al Qaida. Punto due: senza un aiuto concreto dall’esterno, i siriani non reggono l’urto con la repressione militare ordinata dal governo di Assad. Punto tre: i siriani massacrati a migliaia corrono davvero ad abbracciare i gruppi estremisti che stanno con al Qaida. Punto quattro, e a capo: non aiutiamo i siriani in guerra contro il governo di Assad perché temiamo di aiutare anche i gruppi estremisti che stanno con al Qaida. E così via. La repressione militare continua. Il numero dei morti cresce. I gruppi estremisti diventano sempre più forti e stanno prendendo il comando delle operazioni contro l’esercito. E noi? Punto uno, due, tre e quattro.
Ieri è arrivata la notizia del rapimento di due vescovi ortodossi dalla città di Aleppo, erano appena tornati dalla Turchia. Non è ancora possibile attribuire una responsabilità precisa (si parla di “un gruppo armato”) ma è vero che la ribellione siriana cominciata con aspirazioni libertarie e democratiche ora si è mescolata alle bande di al Qaida, le stesse che nel nord del confinante Iraq hanno compiuto un’efferata operazione di persecuzione religiosa contro la comunità cristiana più antica del medio oriente. Non soltanto l’occidente ha perso il suo potere di persuasione con il governo di Assad, lo sta perdendo anche con l’opposizione – ieri il capo, Moaz al Khatib, si è dimesso per protesta contro l’inerzia internazionale. Il sistema è in stallo, cambia soltanto il bilancio mensile delle vittime in aumento costante.
Il vicino a sud, Israele, non sta con Assad – alleato con Hezbollah e con l’Iran – e non vuole aiutare i ribelli, ma comincia a parlare di una zona cuscinetto al confine con la Siria da affidare a ribelli non estremisti. Il non-intervento scelto dalla comunità internazionale sta peggiorando le cose e i blandi aiuti di adesso – scatoloni di razioni alimentari e giubbotti antiproiettile – non bastano. In soli due anni, il partito Baath siriano sta eguagliando le atrocità commesse dal Baath iracheno di Saddam Hussein. E’ arrivato il momento di fargli fare la stessa fine.
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