No Tav, Sì Terroristi
La decisione della procura di Torino di indagare un gruppo di esponenti del movimento No Tav per terrorismo è destinata ad aprire una discussione, com’è giusto, visto che si tratta di un salto di qualità nel modo di considerare i reati commessi nell’ambito di quel movimento. I numerosi imputati del processo già in corso, più di cinquanta, sono accusati di resistenza e danneggiamento, ma 4 di loro hanno adottato un atteggiamento tipico dei brigatisti, rifiutando l’assistenza legale per proclamare “il rifiuto dello stato e di qualsiasi istituzione o mezzo che lo rappresenti o lo riconosca”.
La decisione della procura di Torino di indagare un gruppo di esponenti del movimento No Tav per terrorismo è destinata ad aprire una discussione, com’è giusto, visto che si tratta di un salto di qualità nel modo di considerare i reati commessi nell’ambito di quel movimento. I numerosi imputati del processo già in corso, più di cinquanta, sono accusati di resistenza e danneggiamento, ma 4 di loro hanno adottato un atteggiamento tipico dei brigatisti, rifiutando l’assistenza legale per proclamare “il rifiuto dello stato e di qualsiasi istituzione o mezzo che lo rappresenti o lo riconosca”. Si potrebbe dire che sono proprio i più estremisti tra gli esponenti del movimento a cercare di presentarsi come terroristi, ma naturalmente questo non basta. La procura sembra muoversi su un terreno piuttosto solido, ha indicato a sostegno della sua accusa fatti specifici, la disponibilità di armi, l’attacco coordinato alle forze dell’ordine e la volontà di procurare danni anche alle persone. Per ora il reato di associazione terroristica, che prevede una pena dai sei ai venti anni, è stato ipotizzato solo nei mandati di perquisizione e di arresto: diventerà un’imputazione solo se i riscontri oggettivi, l’esito delle perquisizioni, degli interrogatori e dei riconoscimenti saranno tali da confermarla.
Da una parte è bene che chi si rende responsabile di attacchi continui contro lavoratori e forze dell’ordine che realizzano o difendono un’opera pubblica decisa democraticamente, pretendendo di imporre con la violenza una volontà legittimamente contraria ma con forme assolutamente inaccettabili, venga messo di fronte a una volontà ancora più ferma da parte dello stato. Proprio perché, come dicono i No Tav nei loro volantini, la costruzione della linea ad alta velocità “non è qualcosa di mediabile, non esiste un punto di caduta, esiste una vittoria ed esiste una sconfitta, null’altro”, non è concepibile che lo stato, che peraltro è impegnato anche in accordi internazionali, accetti la sconfitta. Sui tipi di reato che debbono essere contestati, naturalmente, si decide in base ai fatti commessi dalle singole persone. Un reato associativo come quello di terrorismo richiede prove specifiche, che sono quelle che la procura e la Digos intendono raccogliere attraverso l’indagine in corso. Finora il percorso seguito dalle autorità appare lineare, basato sulla ricerca di fatti e di prove e non sull’enunciazione di reati e di pene “esemplari”. Con termini come “terrorismo” non si può scherzare, ma anche chi gioca a fare il terrorista deve rendersi conto che se si superano i limiti si finisce per passare da un gioco stupido e pericoloso a una tragedia irrimediabile che già ha colpito generazioni precedenti rovinandole.
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