L'arresto a Cannes
Chissà com'è che i media francesi per ora tacciono su Ablyazov
E’ una dissidenza strana quella del kazaco Mukhtar Ablyazov, la cui fuga è finita mercoledì pomeriggio in una villa di Mouans-Sartoux, a pochi chilometri da Cannes, Francia. Le residenze lussuose e i compleanni festeggiati nei ristoranti romani si confanno poco al modello di dissidente à la Solgenitsin e molto a quello del banchiere in fuga dopo aver provocato il crac del suo istituto e aver intascato qualcosa come sei miliardi di dollari. Testimoniano però a favore di Ablyazov le denunce di Amnesty International sulle torture che ha subìto nelle carceri di Astana prima del 2003, quando le pressioni della comunità internazionale consentirono il rilascio dell’ex ministro dell’Energia trasformatosi in capo dell’opposizione, che una volta rifugiatosi a Mosca si reinventò come banchiere di quella Bta.
E’ una dissidenza strana quella del kazaco Mukhtar Ablyazov, la cui fuga è finita mercoledì pomeriggio in una villa di Mouans-Sartoux, a pochi chilometri da Cannes, Francia. Le residenze lussuose e i compleanni festeggiati nei ristoranti romani si confanno poco al modello di dissidente à la Solgenitsin e molto a quello del banchiere in fuga dopo aver provocato il crac del suo istituto e aver intascato qualcosa come sei miliardi di dollari. Testimoniano però a favore di Ablyazov le denunce di Amnesty International sulle torture che ha subìto nelle carceri di Astana prima del 2003, quando le pressioni della comunità internazionale consentirono il rilascio dell’ex ministro dell’Energia trasformatosi in capo dell’opposizione, che una volta rifugiatosi a Mosca si reinventò come banchiere di quella Bta il cui fallimento è costato caro anche alle banche italiane: 85 milioni di perdite per la sola Unicredit. Una volta a Londra, a partire dal 2009, Ablyazov avrebbe subìto almeno un tentativo di omicidio.
Quella tra dissidente politico e banchiere truffaldino è una dicotomia che i media italiani – tra mandati dell’Interpol, passaporti veri con nomi fasulli, ambasciatori invadenti e lo spauracchio umanitarista del dittatore cattivo da attaccare a tutti i costi – non si sono mai preoccupati di sciogliere, o che hanno risolto con uno sbrigativo “dissidente”, più funzionale a una polemica tutta italiana e viminalizia che alla definizione dello status di Ablyazov. L’arresto di mercoledì ci ha spiegato che le autorità francesi il nodo l’hanno sciolto, e che il secondo profilo di Ablyazov – quello di banchiere ricercato per truffa – vale più del primo, quello di rifugiato politico. I francesi si sarebbero mossi sulla scorta di un mandato di cattura emesso dall’Ucraina, uno dei tre paesi, assieme a Russia e Kazakistan, dove Ablyazov è ricercato per la bancarotta di Bta (a Londra è invece ricercato dal 2012 per aver mentito a una Corte di giustizia), che aveva sede in Kazakistan ma importanti ramificazioni negli altri due paesi. Dopo l’arresto da parte di un commando di uomini delle forze speciali francesi (“pesantemente armati”, a detta dell’avvocato di Ablyazov), il politico kazaco è stato trasferito ad Aix-en-Provence, dove ieri è stato sentito da un giudice della corte d’Appello. Per ora la decisione sull’estradizione in Ucraina è rinviata (il tribunale dovrà considerare anche la richiesta russa, arrivata ieri), e Ablyazov dovrà attendere in carcere, anche se probabilmente sarà rilasciato su cauzione e potrà andare agli arresti domiciliari.
L’operazione francese ha ancora alcuni punti da chiarire (perché i francesi hanno risposto al mandato di cattura ucraino e non a quello russo o kazaco?), ma non ha risentito delle pesanti opacità di quella italiana (non c’era un ambasciatore kazaco a dirigere le operazioni dagli uffici del ministère de l’Intérieur). I figli di Ablyazov hanno già levato appelli per la liberazione del padre e per evitarne l’estradizione (la Francia però ha una lunga tradizione di estradizioni non concesse), ma per ora l’opinione pubblica e i giornali francesi hanno semplicemente ignorato la vicenda: non una riga sul Monde, una breve citazione su Libération, alcuni siti che si limitano a riportare i lanci d’agenzia. Non si sono ancora levate le grida di indignazione per la violazione dei diritti umani o gli scandali per la sudditanza verso il gas kazaco (del quale la francese Total è ghiotta; lo sarebbe anche Eni, che ha investito in Kazakistan 6 miliardi di euro, ma forse ora sarà più difficile strappare accordi favorevoli). Tutta qui la reazione per un caso umanitario che imbarazza i governi?
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