Che fine ha fatto l'Italia nel Mediterraneo? In Siria dovrebbe fare così
La più volte tracciata Red line è stata superata all'alba di mercoledì 21 agosto nei sobborghi di Ghouta, Ain Tarma, Zamalka e Jobar alla periferia di Damasco. Centinaia di video e foto hanno raccontato molto più che l'ennesima carneficina. Questa volta le immagini non lasciano dubbi e ricordano Halabja, quando nel 1988 Saddam sterminò un intero villaggio curdo nel nord dell'Iraq usando gas al cianuro, nel quadro della campagna di “Anfal”, un piano sistematico per lo sterminio degli oppositori curdi. Le immagini che arrivano dalla Siria raccontano di civili, moltissimi bambini, senza ferite da arma da fuoco e tutti morti soffocati da agenti chimici, come confermano molti medici e tecnici di numerose ong indipendenti sul campo.
di Gianni Vernetti
Al direttore - La più volte tracciata Red line è stata superata all’alba di mercoledì 21 agosto nei sobborghi di Ghouta, Ain Tarma, Zamalka e Jobar alla periferia di Damasco. Centinaia di video e foto hanno raccontato molto più che l’ennesima carneficina. Questa volta le immagini non lasciano dubbi e ricordano Halabja, quando nel 1988 Saddam sterminò un intero villaggio curdo nel nord dell’Iraq usando gas al cianuro, nel quadro della campagna di “Anfal”, un piano sistematico per lo sterminio degli oppositori curdi. Le immagini che arrivano dalla Siria raccontano di civili, moltissimi bambini, senza ferite da arma da fuoco e tutti morti soffocati da agenti chimici, come confermano molti medici e tecnici di numerose ong indipendenti sul campo. Il tutto con un team di ispettori delle Nazioni unite bloccato all’interno del Four Seasons Hotel di Damasco a soli 13 chilometri dalle zone civili densamente abitate, colpite dal bombardamento aereo e dall’artiglieria. Come ha dichiarato il capo degli ispettori Onu, lo svedese Ake Sellström, il team ha un mandato molto preciso e vincolante, potendosi recare esclusivamente in tre aree del paese dove sono stati denunciati presunti attacchi chimici avvenuti molti mesi fa.
Le Nazioni unite rischiano in queste ore un “effetto Srebrenica”, con i loro uomini ad assistere impotenti a una pianificata carneficina di civili, in questo caso anche con l’utilizzo di armi chimiche: armi, dunque, di distruzione di massa. Le due grandi autocrazie del pianeta, Russia e Cina, hanno offerto in questi due anni tutto il sostegno e la copertura necessaria al regime di Assad, bloccando in Consiglio di sicurezza ogni risoluzione per fermare i massacri. E la riunione urgente dello stesso Consiglio di sicurezza di mercoledì sera ha confermato lo stallo e l’incapacità di assumere in quella sede alcuna decisione.
Dopo l’intervento in Libia la comunità internazionale sembra incapace di assumere una qualunque iniziativa per fermare la mattanza siriana che ogni giorno assume proporzioni senza precedenti: oltre 150 mila civili uccisi, città rase al suolo, centinaia di migliaia di profughi, un’emergenza umanitaria che ha investito Iraq, Giordania e Turchia, una crescita costante di milizie armate straniere (da Hezbollah alla galassia jihadista). Il tutto con l’Amministrazione Obama ancora stordita dalla rapidità dei mutamenti in corso e senza una bussola in grado di orientarsi in un grande medio oriente nel quale i vecchi alleati sono irriconoscibili e tutti con un’agenda propria, senza più nessun riconoscimento della leadership d’Oltreoceano.
E nella debolezza occidentale, l’Europa si conferma strutturalmente incapace di agire e l’Italia sembra aver dimenticato come il Mediterraneo rappresenti uno dei suoi più rilevanti interessi nazionali. Anche la politica estera italiana ha perso la bussola: in pochi mesi il nostro ministro degli Esteri ha minimizzato sulla repressione violenta dei Giovani turchi a Gezi Park, si è opposto all’inserimento di Hezbollah nella blacklist europea, ha inviato un suo viceministro a omaggiare il nuovo satrapo di Teheran, ha speso una parola di troppo nella difesa della Fratellanza musulmana proprio nelle ore in cui i suoi militanti bruciavano le chiese cristiane d’Egitto.
E’ tardi, ma c’è ancora tempo per agire. E’ nostro diritto/dovere intervenire per proteggere la popolazione civile dal massacro in corso, optando per una iniziativa di ingerenza umanitaria nel quadro della dottrina della “Responsability to Protect”. Come accadde nel caso del Kosovo, quando intervenimmo tardi (dopo oltre 300 mila civili uccisi in Bosnia e Croazia) e senza la legittimazione preventiva delle Nazioni unite, così sarà nel caso siriano. Europa, Stati Uniti, Lega Araba e Turchia dovranno promuovere una coalizione ad hoc (Friends of Syria) con l’obiettivo di un’iniziativa politico-militare per fermare i massacri dei civili, contenere la minaccia jihadista, distruggere e mettere in sicurezza gli arsenali chimici, sostenere il cambio di regime, consegnare Bashar al Assad al Tribunale penale internazionale e giudicarlo per crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
Come primo passo per raggiungere questi obiettivi andrà istituita una no-fly zone su tutta la Siria. Le operazioni militari saranno condotte dalla Nato su mandato della coalizione Friends of Syria, con la partecipazione di forze armate aeree anche di diversi paesi arabi (Qatar, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Arabia Saudita). Andranno create due “zone libere” al confine con la Turchia e con il nord dell’Iraq (Kurdistan) per organizzare corridoi e assistenza umanitaria nei confronti dei già enormi flussi di profughi. I paesi della coalizione dovranno sostenere la nascita di un governo siriano provvisorio che si dovrà formare intorno al Syrian National Coalition e la Free Syrian Army andrà sostenuta con forniture di materiale bellico e con l’invio di istruttori sul campo una volta che verranno realizzate le prime aree liberate. Andrà, infine promossa una forte iniziativa politica per la stabilizzazione, la ricostruzione e lo sviluppo della Siria.
di Gianni Vernetti (già sottosegretario agli Affari esteri)
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