Memorandum per il sindaco di una città involgarita, Sienaland

Redazione

C’è un termine di paragone che sovente si usa, ormai, quando si vuole segnalare l’eccessiva riduzione di una città d’arte a mero approdo turistico, quando la si ritenga troppo imbalsamata, ingessata e bloccata nel suo aspetto di entità esclusivamente monumentale: Disneyland. Un luogo cioè dove il tempo della vita quotidiana è relegato in secondo piano e domina invece una sorta di gioiosa atemporalità che offre al turista l’illusione di poter attraversare, spesso nell’arco di una giornata o addirittura di qualche ora, i secoli, come in una sorta di viaggio nel tempo la cui scenografia appare miracolosamente apparecchiata di fronte agli occhi.

di Marco Pierini

    Siena. C’è un termine di paragone che sovente si usa, ormai, quando si vuole segnalare l’eccessiva riduzione di una città d’arte a mero approdo turistico, quando la si ritenga troppo imbalsamata, ingessata e bloccata nel suo aspetto di entità esclusivamente monumentale: Disneyland. Un luogo cioè dove il tempo della vita quotidiana è relegato in secondo piano e domina invece una sorta di gioiosa atemporalità che offre al turista l’illusione di poter attraversare, spesso nell’arco di una giornata o addirittura di qualche ora, i secoli, come in una sorta di viaggio nel tempo la cui scenografia appare miracolosamente apparecchiata di fronte agli occhi. Ma la scenografia, per quanto bella possa essere, da sola non basta. Ecco dunque che le quinte teatrali hanno cominciato via via ad animarsi, a trasformarsi in parco tematico, in luogo d’intrattenimento. Alle città come Venezia, Firenze, Siena, non è rimasto che abdicare a se stesse e lasciare che i maghi del marketing culturale le trasformassero in brand, così come già da tempo avvenuto per l’impianto monumentale ridotto a scenografia. Il parco giochi invade la città, ma le strade e le piazze principali, i musei e i complessi monumentali, sono naturalmente luoghi privilegiati. L’amministrazione pubblica, di norma, non assiste impotente a questo fenomeno, bensì lo promuove e lo facilita in tutte le maniere, spacciandolo per “valorizzazione”, e ai beni culturali, in generale, sembra ormai che i comuni guardino come mere fonti di reddito, beni da sfruttare solo e soltanto in funzione del turismo; “il nostro petrolio” insomma, secondo una vecchia idea degli anni Ottanta che auspicavamo tramontata.

    Corollario, anzi premessa, del sistema è l’esautorarsi progressivo del ruolo dei musei e degli altri istituti culturali, la messa al bando della ricerca e lo sfruttamento intensivo del patrimonio, senza considerazione alcuna per la sua storia, la sua funzione, e addirittura, talvolta, la sua incolumità. La città che sembra aver meglio applicato il modello del parco giochi in questi ultimi anni è forse Siena. La destituzione dei musei in nessun’altra città è stata tanto sistematicamente perseguita e, infine, raggiunta. Nella città di Duccio e di Simone Martini, di Vecchietta e del Beccafumi, i beni artistici sono tenuti in tale riguardo e considerazione che non esiste più un solo museo che sia legittimato a operare come tale, che risponda ai requisiti minimi dettati dall’Icom (International Council Of Museums) – la più importante organizzazione mondiale della “categoria” – dalla Carta nazionale delle professioni museali, dagli standard della regione Toscana. Innanzi tutto, i due maggiori musei del comune, il Museo civico e il Santa Maria della Scala, sono privi di direttore (un terzo, il Palazzo delle Papesse centro arte contemporanea è stato brutalmente chiuso), mentre al vertice del Museo dell’Opera del Duomo si trova da anni un avvocato, figura priva dei titoli necessari. Né, almeno per gestire temporaneamente l’emergenza, può sopperire a questa mancanza il personale dei musei, numericamente esiguo e, sebbene in molti casi qualificato, ridotto all’impotenza o alla marginalità da un precariato che offende la preparazione e la dedizione dei lavoratori. Alcuni di essi, poi, hanno visto premiate le proprie competenze e la propria passione prima con l’esternalizzazione, in seguito con la riduzione progressiva dell’orario di lavoro, per arrivare infine al licenziamento. “Un museo senza direzione e senza personale è un museo morto, impossibilitato a contribuire alla vita e alla crescita della comunità”, si legge nella quinta delle “Sei proposte di Icom Italia per una gestione sostenibile degli istituti culturali…” diffuse il 30 settembre 2011. Disinnescati in tal modo, i musei sono divenuti algidi contenitori vuoti da sfruttare, non più luoghi dedicati alla tutela, alla conoscenza, alla ricerca e al godimento del patrimonio che conservano.

    L’Opera del Duomo di Siena, una onlus, quindi senza fini di lucro, nella primavera del 2011 ha addirittura ceduto “un ramo d’azienda” a Opera laboratori fiorentini – Civita group, la società privata che già aveva in appalto i servizi museali dell’ente (biglietteria, sorveglianza, accoglienza). Nel ramo ceduto sono comprese “le attività culturali”, delle quali l’Opera del Duomo ha smesso di occuparsi, alienando quella che avrebbe dovuto essere, secondo statuto, una delle sue principali missioni. L’aggressiva attività promozionale dell’Opera del Duomo, già distintasi per lo slogan tratto dai film di James Bond “My name is Duccio” con il quale si invitava a visitare la Maestà e la grande vetrata circolare di Duccio di Boninsegna, con la nuova società di gestione è stata notevolmente rafforzata, soprattutto attraverso la costruzione di “eventi”. Tra gli ultimi l’esposizione nella cripta del Duomo di due opere provenienti dalla Pinacoteca capitolina: il “Battesimo di Gesù” di Tiziano e il “S. Giovanni Battista” del Caravaggio. In un contesto omogeneo e miracolosamente conservato come quello della cripta, le cui pareti sono ricoperte di pregevoli e rarissimi affreschi senesi del XIII secolo, Tiziano prima e Caravaggio poi hanno galleggiato senza possibilità alcuna che la loro presenza – astratta, forzata, pretestuosa – trovasse una ragione, a parte quella di calamitare con il loro nome roboante i flussi del pellegrinaggio “culturale”. Chissà cosa avrà spinto il direttore del museo romano a privarsi di questi due capolavori per alcuni mesi. Non sarà forse che i Musei capitolini sono gestiti dalla società Zètema, fra i cui tre fondatori, nel 1998, risulta anche Civita e il cui amministratore delegato Albino Ruberti è anche segretario generale di Civita? Fino allo scorso 18 agosto Caravaggio lo si poteva ammirare, accompagnati da una guida, anche dopo aver preso un “aperitivo d’arte” sotto il loggiato del Duomo Nuovo, mentre è ancora possibile fino a ottobre, per la “modica” cifra di 25 euro a persona, fare una passeggiata sui sottotetti della cattedrale.
    Passando poi dagli eventi alla gestione ordinaria, non si può che rilevare come – in totale dispregio della direttiva della Cei del febbraio 2012 che ribadisce la gratuità dell’accesso a tutti i luoghi di culto – l’Opera del Duomo di Siena, attraverso Opera laboratori fiorentini, esiga dal visitatore un biglietto per la cattedrale, uno per la cripta, uno per il battistero e uno per l’oratorio di S. Bernardino! (ma bontà loro, è previsto anche un biglietto cumulativo).

    Il successo meramente economico e quantitativo di questo modello di gestione ha destato interesse anche all’interno del comune di Siena. Fallito per il momento il tentativo, più volte e da più voci proposto sulla stampa locale lo scorso autunno, di attribuire a Opera la gestione diretta di tutta piazza del Duomo, aggiungendo alla cattedrale e al relativo museo lo Spedale di Santa Maria della Scala, il comune ha tuttavia affidato i servizi di sorveglianza, biglietteria, didattica dei propri musei – sia il Civico sia il Santa Maria della Scala – a Opera laboratori fiorentini, vincitrice di due gare d’appalto grazie a ribassi inauditi sull’importo a base di gara: del 33 per cento in un caso, del 25 per cento in un altro. Ed ecco, ad appena un mese dall’aggiudicazione, spuntare l’evento spettacolare organizzato e promosso da Civita al Santa Maria della Scala: l’antologica di Steve McCurry, noto fotografo della Magnum. La mostra giunge a Siena dopo i precedenti allestimenti di Milano, Perugia, Roma e Genova, in maniera assai curiosa. In assenza di direttore al museo, di sindaco e di assessore alla Cultura in comune – siamo negli ultimi giorni del commissariamento della città – la proposta della mostra viene tuttavia accolta e formalizzata dall’amministrazione con una determina (n. 794/2013) che ne stabilisce le surreali condizioni: il comune concede gratuitamente l’utilizzo degli spazi, copre i costi delle utenze, garantisce il servizio di pulizia, di sorveglianza notturna e in cambio… non ha nulla! Infatti è previsto che al comune venga corrisposto 1 euro “per ogni biglietto d’ingresso alla sola mostra venduto dopo l’emissione dei primi 50.000 titoli d’ingresso a pagamento”, ovverosia – dato che il prezzo tutt’altro che contenuto del biglietto è di 10 euro – qualora la società arrivi a incassare mezzo milione. A mettere il sigillo è arrivata, grazie al Consiglio superiore dei Beni culturali, la nomina di Antonio Paolucci (membro dello stesso Consiglio superiore) nella Deputazione generale della derelitta Fondazione Monte dei Paschi di Siena. Soprintendente del Polo museale di Firenze ai tempi in cui la gestione dei musei cittadini fu affidata completamente a Opera, artefice – da direttore dei Musei vaticani – dell’attribuzione a Civita del bookshop, nonché attuale presidente del Comitato scientifico di Civita, Paolucci potrebbe in futuro trovarsi in imbarazzo, se non addirittura in conflitto d’interessi, nel suo nuovo ruolo di deputato della Fondazione Mps.

    Fino a oggi, però, la rinuncia alla gestione del patrimonio non si era ancora esplicitata in un atto ufficiale, o almeno non così spudoratamente come avviene, invece, nel capitolato della gara d’appalto per la gestione integrata dei servizi museali pubblicata a fine maggio dal comune di San Gimignano. Oltre ai servizi di sorveglianza, biglietteria, accoglienza ecc., l’articolo 3 del capitolato richiede che i vincitori dell’appalto si occupino della “ideazione, organizzazione e promozione di attività espositive temporanee e altre iniziative culturali”, nonché della “progettazione e realizzazione di visite guidate” e della “progettazione e realizzazione di laboratori didattici e altre attività di carattere educativo e formativo finalizzate alla divulgazione e valorizzazione dei musei e dei relativi beni culturali, rivolte prioritariamente alle scuole presenti sul territorio comunale”. In buona sostanza il comune cede completamente la gestione del proprio patrimonio, il modo in cui sceglie di raccontarlo e di diffonderne la conoscenza, la programmazione culturale tutta, sancendo di fatto il distacco dalla concezione del museo non solo come luogo di conservazione del patrimonio, ma anche come spazio sociale attivo, strumento di produzione, trasmissione e rielaborazione del sapere, la cui capacità di attrarre il visitatore occasionale è direttamente proporzionale all’energia che sprigiona nel proprio rapporto con la comunità che lo ha fatto nascere. Eppure, né l’Icom, né la Fondazione musei senesi della quale i musei di San Gimignano fanno parte, hanno avanzato alcuna obiezione nei confronti del bando.

    Tomaso Montanari, in un articolo sul Corriere fiorentino dello scorso ottobre dedicato al Santa Maria della Scala si chiedeva se Siena avesse più bisogno di “cittadini o di clienti”. Nell’anno che è trascorso ha prevalso senza dubbio l’attenzione per i clienti. Adesso spetta al nuovo sindaco della città Bruno Valentini, che si è tenuto, almeno per il momento, la delega alla Cultura, decidere se invertire la rotta o perseverare nella costruzione del parco giochi. La sua recente proposta di trasferire al Santa Maria della Scala non la pinacoteca – come si dovrebbe, e come Brandi auspicava – ma l’enoteca non sembrerebbe andare proprio nella giusta direzione. Nel frattempo, benvenuti a Sienaland!

    di Marco Pierini