
Le piccole vittorie di Assad
L’Organizzazione per la distruzione delle armi chimiche, fresca di un improbabile Nobel per la Pace, ha annunciato ieri una parziale “mission accomplished” in Siria: sono stati distrutti o resi inoperativi i siti di produzione delle armi chimiche, e l’operazione è stata fatta rispettando la deadline che scade oggi. Gli ispettori sono riusciti ad accedere a 21 siti su 23, i due mancanti sono stati ritenuti troppo pericolosi, sono in zone contese tra ribelli e regime, non si sa bene chi li gestisca, ma pare che buona parte di quel che c’era dentro ai siti sia stata spostata in un’area sicura.
L’Organizzazione per la distruzione delle armi chimiche, fresca di un improbabile Nobel per la Pace, ha annunciato ieri una parziale “mission accomplished” in Siria: sono stati distrutti o resi inoperativi i siti di produzione delle armi chimiche, e l’operazione è stata fatta rispettando la deadline che scade oggi. Gli ispettori sono riusciti ad accedere a 21 siti su 23, i due mancanti sono stati ritenuti troppo pericolosi, sono in zone contese tra ribelli e regime, non si sa bene chi li gestisca, ma pare che buona parte di quel che c’era dentro ai siti sia stata spostata in un’area sicura. L’inventario non è ancora iniziato, ma c’è l’ordine di farlo il prima possibile: si tratta comunque di due siti, il grosso è fatto.
O così pare. Perché ora inizia la parte difficile: distruggere mille e rotte tonnellate di materiale chimico, gas sarin soprattutto, che costituisce l’arsenale – proibito – di Bashar el Assad. Gli americani avevano chiesto che il processo di distruzione – che è molto costoso e molto rischioso, nonché molto lungo – fosse ospitato dalla Norvegia, ma l’Organizzazione ha detto che lì ci sono limiti tecnici insuperabili e stanno ancora decidendo come affrontare questa seconda fase, cruciale, del processo. Un processo che va di pari passo con quello diplomatico che però si è arenato un’altra volta, con buona pace dei sostenitori di Ginevra 2, a partire dall’ex falco Kerry, capo del dipartimento di stato americano. Secondo un’esclusiva della Reuters, la data fissata – il 23 novembre – è slittata, perché i russi e gli americani non riescono a mettersi d’accordo su chi siano i rappresentanti della delegazione dell’opposizione ad Assad: Mosca vorrebbe più delegazioni (così è più facile che litighino tra di loro e non si arrivi ad alcun accordo) mentre gli americani spingono per la presenza del nucleo storico dei ribelli, quello della Syrian National Coalition.
S’incontreranno la settimana prossima a Ginevra, i russi e gli americani, ma i negoziati potrebbero andare per le lunghe. Nel frattempo a Damasco si muore di fame, c’è un’epidemia di poliomielite in corso, i bombardamenti del regime continuano, soprattutto attorno ad Aleppo, le forze di Hezbollah sono ormai schierate come un esercito regolare. L’emergenza umanitaria è piuttosto evidente, il numero dei morti supera ampiamente le 100 mila vittime, ma si continua ad attendere una conferenza di pace che finirà per sancire la vittoria di Assad, e la cattiva coscienza dell’occidente.


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