
Una bomba in centro
A Beirut ucciso un politico anti Assad. E' la vendetta (domestica) di Hezbollah
Un’ora prima di essere ammazzato in un attentato, ieri a Beirut, Mohamad Chatah ha tuittato: “Hezbollah sta facendo di tutto per ottenere potere sulla sicurezza e sulla politica estera simili a quelli che la Siria ha esercitato in Libano per 15 anni”. Chatah era un ex ministro sunnita, aveva lavorato al Fmi a Washington ed era stato ambasciatore in America, era consigliere dell’ex premier Saad Hariri, soprattutto era contro Hezbollah e contro il presidente siriano Bashar el Assad.
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Un’ora prima di essere ammazzato in un attentato, ieri a Beirut, Mohamad Chatah ha tuittato: “Hezbollah sta facendo di tutto per ottenere potere sulla sicurezza e sulla politica estera simili a quelli che la Siria ha esercitato in Libano per 15 anni”. Chatah era un ex ministro sunnita, aveva lavorato al Fmi a Washington ed era stato ambasciatore in America, era consigliere dell’ex premier Saad Hariri, soprattutto era contro Hezbollah e contro il presidente siriano Bashar el Assad. Ieri mattina presto stava andando a un incontro al quartier generale del “circolo Hariri”, dove si decide la strategia dei sunniti in Libano e nella regione (Hariri vive fuori dal paese da due anni, tra Riad e Parigi), quando una bomba ha colpito la sua auto, uccidendo lui e altre cinque persone. “Un nuovo messaggio di terrorismo”, ha commentato Hariri, aggiungendo un riferimento che tiene insieme la politica libanese, quella siriana e la sua famiglia: “Per quel che ci riguarda i sospettati sono coloro che stanno sfuggendo alla giustizia internazionale e si rifiutano di presentarsi davanti al tribunale internazionale”. Fra tre settimane, all’Aia, si apre il processo a cinque membri di Hezbollah accusati di aver ucciso a Beirut, nel 2005, l’ex premier Rafiq Hariri, papà di Saad, e altre 21 persone. I sospettati sono latitanti, si sono rifiutati di cooperare con la Corte, sostengono che è “politicamente motivata”. E’ la stessa Corte che nelle inchieste preliminari era andata a cercare – giustamente – i mandanti dell’attentato in Siria, da Assad, che allora occupava il Libano come fosse casa sua.
Ancora oggi Assad, con la guerra contro il suo popolo, lascia che gli effetti collaterali ricadano, con violenza, in Libano. In Siria i miliziani di Hezbollah stanno dando un contributo decisivo alla sopravvivenza di Assad, sotto la regia delle Guardie della rivoluzione iraniane. A Beirut si regolano i conti: il 19 novembre è scoppiata una bomba di fronte all’ambasciata iraniana (25 morti), ieri quell’attentato è stato vendicato. Come scrive Karl Sharro, che faceva l’architetto a Londra e ora commenta la politica mediorientale con ironia: “In Libano non c’è una guerra civile, solo autobombe passivo-aggressive”.
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