Tre cose da fare per Fiat-Chrysler

Redazione

Che cosa succederebbe negli Stati Uniti se General Electric decidesse di trasferire la propria sede legale in Olanda? Che cosa succederebbe nel Regno Unito se Vodafone decidesse di spostarsi a Zurigo? Non crediamo sia troppo provinciale pensare che in quei paesi di mentalità liberale si formerebbe immediatamente una task force governativa per capire cosa si potrebbe fare per evitare un tale esodo, perché quando si muove un quartier generale, specie di un colosso, si perde gettito fiscale e lavoro ben remunerato e di qualità.

di Andrea Tavecchio

    Che cosa succederebbe negli Stati Uniti se General Electric decidesse di trasferire la propria sede legale in Olanda? Che cosa succederebbe nel Regno Unito se Vodafone decidesse di spostarsi a Zurigo? Non crediamo sia troppo provinciale pensare che in quei paesi di mentalità liberale si formerebbe immediatamente una task force governativa per capire cosa si potrebbe fare per evitare un tale esodo, perché quando si muove un quartier generale, specie di un colosso, si perde gettito fiscale e lavoro ben remunerato e di qualità. Si può anche essere sicuri che la prima riflessione che i pragmatici governi anglo-americani svolgerebbero sarebbe per capire cosa poter offrire di meglio, rispetto ai paesi che stanno attraendo, con i loro vantaggi, General Electric oppure Vodafone. E non è difficile pensare che si cercherebbe, ad ogni costo, di far approvare in tempi rapidissimi un pacchetto di norme pro business in grado di convincere i propri gioielli-colossi a restare. E’ sotto gli occhi di tutti che la competizione internazionale è, e sarà sempre di più, una competizione durissima tra sistemi-paese. Quindi lasciar partire un colosso (nel nostro caso l’unico a proprietà privata) significa dare un segnale pessimo in questa fondamentale competizione tra legislazioni.

    In Italia, invece, la decisione del Gruppo Fiat-Chrysler di spostare la sede legale in Olanda e quella fiscale nel Regno Unito, ovviamente perfettamente legittima, è sembrata a molti anche assolutamente ininfluente: perché conterebbero solo i posti di lavoro, il numero di macchine vendute e la globalità dell’azienda. Facciamo una premessa. Il Gruppo Fiat è un gruppo privato che decide le proprie strategie come ritiene meglio per sé e per i propri azionisti. Punto. Se la strategia di Sergio Marchionne sarà vincente non solo sul lato finanziario, lo dirà il tempo. Vedremo, per adesso l’acquisto della Chrysler è stato un colpo fantastico.

    Ma se è un colpo fantastico per gli azionisti Fiat, come potrebbe diventare un colpo fantastico per il sistema-paese? Non certo bloccando un’impresa privata nelle proprie libere scelte, ma facendo quello che immaginiamo verrebbe fatto, nel nostro esempio, negli Stati Uniti o nel Regno Unito. Predisponendo e approvando celermente un pacchetto di norme pro impresa e pro mercato. Dobbiamo prendere questo trasloco per il significato che ha, un ceffone in faccia che il mondo del business globale ha dato al nostro modo di interpretare la modernità. Far finta di essere contenti o peggio che sia normale è proprio la strada da non percorre. L’Italia è un paese bizzarro, fa le barricate, anche in questi giorni, per tenere a tutti i costi sul proprio territorio del lavoro a basso valore aggiunto e si disinteressa, invece, del lavoro più pregiato che potrebbe portare gettito, occupazione e investimenti.

    Che fare dunque per tentare di metterci almeno sulla stessa lunghezza d’onda dei paesi che vogliono attrarre? Come favorire chi investe e rischia? Tre priorità. La prima modificare la legislazione del lavoro per rendere più facile il trattenere i lavori ad alta professionalità nel nostro paese. Non bisogna aver paura di cambiare le regole delle relazioni industriali, modernizzandole. L’ottica deve essere riuscire a garantire il lavoro, non il posto di lavoro. La seconda è rendere più attraente dal punto di vista fiscale l’attività degli headquarter qui in Italia. Modifichiamo le norme sui redditi da attività tipiche di holding – come incassare dividendi e royalty – e facilitiamo dal punto di vista fiscale e dei permessi di ingresso chi vuole venire a lavorare in Italia. L’esempio inglese, dove è previsto un regime di favore per chi si trasferisce a vivere nel Regno Unito per alcuni anni, è ottimo. Sarebbe solo da copiare. La terza priorità è tornare a credere al nostro mercato dei capitali. Con due azioni concrete. Aboliamo la Tobin tax, il prelievo sulle transazioni finanziarie introdotto un anno fa, e lanciamo una detassazione straordinaria, utilizzando meglio una norma che c’è già, per chi decide di lanciare aumenti di capitale per cassa o di quotarsi.

    Certo poi bisognerebbe abbassare il cuneo fiscale e le tasse, ma per farlo è necessario ripensare la nostra macchina pubblica e questo non è un progetto da task force. Questo è un progetto politico. Anzi è il progetto politico decisivo se non vogliamo diventare una paese bellissimo, ma povero e incapace di garantire un livello accettabile di welfare. E illudersi che sia possibile risolvere i nostri problemi grazie a una super imposta patrimoniale significa non capire che nuove tasse spezzerebbero definitivamente le nostre speranze di crescita degli investimenti e dei consumi. Sarebbe una via senza uscita. L’orologio della competizione internazionale gira velocissimo e l’Italia è quasi fuori tempo massimo.

    di Andrea Tavecchio