Tutta la Fiat dei salotti e della stampa che non serve più a Marchionne
C’erano un tempo gli uomini dell’Avvocato, una schiatta di banchieri, o avvocati essi stessi, aristocrazia e giornalisti, compagni di viaggi, avventure, mondanità, pettegolezzi e affari, spesso tra loro imparentati, vicini o distanti dal centro del sistema solare ma, come si diceva, con l’imprinting sabaudo anche se nati a Roma o Napoli. Ora che ufficialmente inizia l’avventura planetaria di Sergio Marchionne, il quale nel 2011 dichiarò che l’Avvocato non l’aveva mai conosciuto (“Umberto invece sì”), che fine farà quel sistema-Agnelli che tra gli anni Ottanta e i primi Duemila dominava banche, assicurazioni, informazione, potere, sempre riportando a un Lingotto ormai non più cuore dell’impero?
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C’erano un tempo gli uomini dell’Avvocato, una schiatta di banchieri, o avvocati essi stessi, aristocrazia e giornalisti, compagni di viaggi, avventure, mondanità, pettegolezzi e affari, spesso tra loro imparentati, vicini o distanti dal centro del sistema solare ma, come si diceva, con l’imprinting sabaudo anche se nati a Roma o Napoli. Ora che ufficialmente inizia l’avventura planetaria di Sergio Marchionne, il quale nel 2011 dichiarò che l’Avvocato non l’aveva mai conosciuto (“Umberto invece sì”), che fine farà quel sistema-Agnelli che tra gli anni Ottanta e i primi Duemila dominava banche, assicurazioni, informazione, potere, sempre riportando a un Lingotto ormai non più cuore dell’impero? Difficile che corrano ad Amsterdam o Londra, dove la Fiat Chrysler Automobiles trasferisce le sedi legali e fiscali. Anche per motivi di età: per dire, va per i 90 anni Gianluigi Gabetti e per gli 85 Franzo Grande Stevens, torinese il primo, napoletano il secondo, che pure della vecchia guardia sono stati i più vicini a Marchionne, e i più utili avendo congegnato lo swap che nel 2005 fece fuori le banche creditrici blindando Exor, la cassaforte di famiglia, e affrontato per questo guai giudiziari.
Da quella mossa, il consolidamento azionario degli eredi trentenni di Gianni e Umberto, Marchionne poté iniziare la sua ascesa, affrancato dalla morsa bancaria e dagli incesti con la finanza italiana. Riservò a Gabetti parole affettuose: “Resterà sempre il mio più grande amico”. Ora, per esempio, si gioca a Torino la partita per la presidenza della Compagnia di San Paolo, primo azionista di Intesa, e il favorito è Luca Remmert, mecenate, titolare di villa art nouveau, giardino all’inglese e tenuta in collina, amico dei Re Rebaudengo e imparentato con i Nasi, questi ultimi a loro volta soci e per i rami cugini e cognati degli Agnelli sr. La cosa non sarebbe mai sfuggita all’attenzione, o ai lazzi, dell’Avvocato; per Marchionne è una breve sui giornali italiani. Tra l’altro due delle banche che si videro sfilare la possibilità di trasformare i prestiti in azioni Fiat erano proprio San Paolo e Intesa; le altre Unicredito e Capitalia. Queste ultime, fuse, controllano tuttora Mediobanca (che impose alla Fiat Cesare Romiti), alla cui presidenza è transitato un altro agnelliano ramo però Umberto, che l’Avvocato, poco prima di morire, rimosse da amministratore delegato Fiat: Gabriele Galateri di Genola, poi presidente di Telecom e oggi delle Assicurazioni Generali. La “galassia”, o salotti buoni, con tutti i loro derivati, funzionali al disegno di controllo dell’establishment ideato da Romiti e coltivato da Gianni Agnelli, e che oggi appaiono piccoli e periferici rispetto alla Fca marchionnesca. E ha un bel cercare Stefano Sansonetti sul quotidiano la Notizia, tracce di Agnelli boys nei posti chiave: oltre a Remmert e Galateri, nomi come Luca Cordero di Montezemolo, non però come presidente della Ferrari, ma come vicepresidente di Unicredit; e Maurizio Beretta, ex relazioni istituzionali della Fiat, alla Lega Calcio; e Giovanni Malagò da poco presidente del Coni.
A ben vedere si tratta piuttosto di Luca boys, cioè amici di LCdM, o di Umberto, e dunque eredi di un ruolo in quella terra di mezzo che fu la presidenza Fiat affidata dalla famiglia a Montezemolo nel gennaio 2004, alla scomparsa dell’Avvocato, quando non c’era certezza del domani. Marchionne sarebbe diventato ad solo cinque mesi dopo. La coabitazione Marchionne-Montezemolo, durata fino al 2010, è stata a sua volta segnata da alti e bassi, e infinite chiacchiere (in ogni modo i due non si piacevano). Ma in definitiva anche LCdM, benché numero uno del Cavallino, pare appartenere a una vecchia Fiat. E’ stato presidente in chiave consociativa di Confindustria, mentre Marchionne la abbandonò per il defilamento di Via dell’Astronomia dalla battaglia per chryslerizzare Pomigliano. E, fatto forse più grave, Montezemolo ha vagheggiato lo scorporo e la quotazione autonoma della Ferrari, che invece il manager italo-canadese intende sfruttare assieme a Maserati e Alfa Romeo per sinergie sui motori e posizionare la Fca nel segmento lusso.
Secondo molti il prossimo dossier che la Fiat post Agnelli dovrà affrontare saranno i quotidiani: la proprietà della Stampa e il ruolo di azionisti forti del Corriere della Sera appaiono troppo per un manager che pensa in inglese e legge quasi solo giornali stranieri. Girano progetti di fusione, o di trasferire la Stampa a una fondazione con le banche torinesi: cadeau al vecchio mondo che fu. L’Avvocato nei suoi mercoledì romani faceva un salto alla redazione romana della Stampa, avido dei pettegolezzi di Marcello Sorgi e di un Augusto Minzolini non ancora del tutto berlusconizzato (solo un po’). Al Corriere nominava il direttore, che su questo campava. Marchionne preferisce il tablet, il Wall Street Journal, il Financial Times che ogni tanto lo strapazza, e Automotive News: il settimanale di Detroit che non era nella rassegna stampa dell’Avvocato.
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