Assad sarà ucciso da uno dei suoi

Redazione

Nel periodo precedente ai colloqui di pace Ginevra 2, circolava in modo insistente l’ipotesi che il gruppo dell’opposizione presente ai negoziati non avesse abbastanza leva e influenza fra le brigate ribelli presenti sul campo in Siria per poter raggiungere un qualsiasi accordo significativo (punto che è diventato irrilevante dal momento che i colloqui si sono conclusi senza il raggiungimento di un accordo di alcun genere).

di Aboud Dandachi

    Nel periodo precedente ai colloqui di pace Ginevra 2, circolava in modo insistente l’ipotesi che il gruppo dell’opposizione presente ai negoziati non avesse abbastanza leva e influenza fra le brigate ribelli presenti sul campo in Siria per poter raggiungere un qualsiasi accordo significativo (punto che è diventato irrilevante dal momento che i colloqui si sono conclusi senza il raggiungimento di un accordo di alcun genere).
    Eppure eventi recenti sul campo, a Homs, dove un convoglio umanitario dell’Onu e della Mezzaluna Rossa diretto all’area ribelle assediata è stato bombardato e fatto esplodere dagli shabiha del regime, e dove il medico britannico Abbas Khan è stato ucciso, solo poche ore prima del suo previsto rilascio dalle prigioni del regime, indicano chiaramente che Bashar el Assad, lontano dall’essere un presidente in pieno controllo dei suoi servizi di intelligence e delle sue milizie, è in realtà un uomo che si ritrova intrappolato in una narrativa da lui stesso inventata.

    Non riuscendo a sconfiggere un’opposizione da lui sempre dipinta come una minaccia all’esistenza stessa del suo bacino  alawita, intrappolato in una narrativa che ha reso impossibile persino la creazione di misure minime di sicurezza come il permettere gli aiuti umanitari alle aree dei ribelli o la liberazione di personaggi di alto profilo come il dottor Khan, misure che se messe in atto avrebbero potuto permettere un accordo politico per mettere fine al conflitto, Assad si ritrova in un corso degli eventi che può portare solo in una direzione: la sua morte per mano dei suoi compagni alawiti.

    Per chiunque abbia seguito da vicino gli eventi in Siria non può essere stata una sorpresa la dura opposizione persino al minimo tentativo di compromesso fra i supporter del regime. Nel giugno 2013, quando l’esercito siriano, sostenuto da unità dell’organizzazione terroristica libanese Hezbollah, ha invaso la mia città natale, Talkalakh, l’esercito e i mukhabarat (i servizi segreti) vennero porta a porta, depredando le case e arrestando le persone un po’ a caso. Un mio parente, che all’epoca era in città, il cui figlio per anni aveva avuto legami molto forti con funzionari anziani del regime, pensava che le famose relazioni della sua famiglia con il regime lo avrebbero protetto.

    Quando gli shabiha del regime (gli shabiha sono “gli spettri”, le squadracce del governo, ndr) fecero irruzione in casa sua, questo mio parente sollevò immediatamente una foto di suo figlio che dava la mano addirittura al Presidente, all’Oftalmologo in persona. “Guardate! Guardate!” disse, “mio figlio con ‘Bashar il Dottore’!”.

    Gli shabiha diedero un’occhiata alla foto, e ruppero la mascella al mio parente. “Kess emak ‘ala em el doktor Bashar!” (un’espressione araba molto volgare, più forte di un nostro “vaffanculo”)
    Ahia. Diciamo che quella frase è stata la cosa più vicina a un onesto sondaggio di opinione che si può avere in Assadistan: una sorta di riassunto dei sentimenti dei ranghi e dei soldati del regime nei confronti di Assad, un atteggiamento del quale ho trovato conferma vivendo a Tartous. Assad ha creato una narrativa dove l’unico risultato accettabile dal punto di vista della sua cerchia è la sconfitta totale e schiacciante dell’opposizione “takfiri”, risultato che però per Assad è stato praticamente impossibile da raggiungere. Se hai dipinto i tuoi nemici come selvaggi nichilisti, ostinatamente determinati a soggiogare l’intera nazione sotto un “emirato islamico,” allora l’unico modo nel quale le comunità alawite di Homs, di Damasco e della costa potranno sopravvivere è il completo e totale annientamento di quei “takfiri” e dei loro supporter.

    Quindi, caro Dottore, cosa stai facendo davvero mentre smantelli l’arsenale chimico della nazione? Gli shabiha, che sono morti a decine di migliaia durante il conflitto, non vogliono alcun accordo che preveda l’abbandono del sarin in cambio della sopravvivenza del regime. Loro vogliono che il sarin sia lanciato in quantità massicce sulle aree dei ribelli che ancora resistono a Homs e a Damasco.

    I mukhabarat, che non hanno alcuna illusione su ciò che li aspetta in caso di crollo del regime, non vogliono vedere prigionieri di alto profilo come il dottor Kahn rilasciati solo perché la cosa farebbe sembrare Assad buono. L’assassinio brutale e selvaggio di Khan solo poche ore prima del suo previsto rilascio era un “Fuck you” per Assad tanto quanto un atto di ribellione nei confronti dei britannici (il medico volontario inglese avrebbe dovuto essere consegnato al politico inglese George Galloway, vicino ad Assad, ndr). Galloway? E chi è George Galloway? Se il sogno di Galloway era di diventare il primo Ayatollah scozzese, beh i mukhabarat – anch’essi morti a migliaia durante la guerra – non hanno sentito alcuna necessità di regalargli qualche punto nelle pubbliche relazioni.

    E sì, caro Dottore, hai passato mesi a convincere gli alawiti da Zahra a Homs che sono accerchiati da ogni lato da selvaggi “takfiris” e dai loro sostenitori sionisti-salafiti-wahabiti-pro Nato. Quindi perché ammetti convogli umanitari nelle loro aree assediate? L’unica sorpresa del giorno non era che un convoglio umanitario dell’Onu e della Mezzaluna Rossa è stato attaccato; era che una qualsiasi persona in possesso delle sue capacità mentali potesse aver pensato che un tale accordo potesse essere raggiunto senza una protesta immediata e sanguinosa da parte degli shabiha a Homs.
    A Tartous c’era un’atmosfera innegabile di esasperazione nei confronti di Assad. In più di un’occasione, ho sentito il desiderio di poter avere di nuovo la saggezza e l’esperienza di suo padre Hafiz, che secondo molti non avrebbe mai permesso che le cose arrivassero al punto in cui invece sono arrivate. I supporter del regime vogliono qualcuno che porti avanti una guerra in modo efficiente, e che la vinca in modo netto, cosa che Bashar ha miseramente fallito di fare, nonostante il massiccio sostegno straniero da parte di Hezbollah, Iran e Russia.

    E mentre la guerra si trascina, si percepisce un crescente senso di rabbia nei confronti di un uomo che molti considerano un impreparato. Winston Churchill era costantemente in giro a visitare ogni parte del Regno Unito colpito dai raid tedeschi, mentre Bashar si rintana nel suo isolamento continuo, nella reclusione dal mondo esterno a Damasco, per proteggersi dai suoi stessi alawiti così come dagli attacchi da parte dell’opposizione.

    Ovviamente i colloqui di Ginevra sono falliti!! Waleed Muallem e Buthaina Shaaban e gli altri sarebbero stati linciati dai sostenitori del regime all’interno della delegazione se avessero osato pronunciare anche una sola parola su un compromesso, non parliamo poi di una qualsiasi transizione verso un potere condiviso. Non si condivide il potere con i “takfiri”. Senza una chiara e decisiva vittoria militare di una parte sull’altra, l’unico modo per porre fine alla guerra in Siria sarebbe stato un accordo politico. Entrambe le ipotesi sono impossibili da realizzare per Bashar el Assad. Intrappolato nella sua stessa retorica, è condannato a proseguire in un percorso che non ha alcuna speranza di finire in un trionfo per il regime. Mentre gli alawiti continuano a morire a migliaia, usati da un presidente che li considera alla stregua di munizioni o litri di carburante per i carri armati, mentre si fa sempre più frequente l’utilizzo barbarico delle barrel bomb (i barili bomba) e le tecniche per affamare i nemici non riescono a portare di nuovo il resto della nazione sotto il suo dominio, la posizione di Assad diventerà sempre più insostenibile persino nella sua circoscrizione.

    Non riuscendo ad assicurarsi una vittoria militare, e non potendo fare alcun passo verso un accordo politico, la sua abilità nell’esercitare il controllo sugli elementi del suo stesso regime sarà sempre più indebolita. Oggi, non può neppure riconsegnare vivo e vegeto un prigioniero ad un amichevole primo ministro britannico pro Iran, o assicurare la sicurezza di un convoglio umanitario dell’Onu. In un futuro non molto lontano, la sua inabilità a influenzare gli eventi diventerà sempre più chiara, finché la sua stessa vita sarà minacciata da quelli a lui più vicini, che cercheranno di sostituirlo con qualcuno che secondo loro può portare avanti una guerra in modo più efficiente, che non sia tanto schizzinoso nell’usare ogni singola goccia di armi chimiche presente nell’arsenale del regime. I supporter del regime non sono morti in numero così elevato solo per condividere il potere con quelli che ritengono “takfiri”. Piuttosto, “Kess em el doktor Bashar”.

    Assad oggi è un peso, sia per il suo bacino, sia per la nazione che gli si oppone, e per la regione nel suo complesso. Il suo spazio politico di manovra praticamente non esiste più, la sua capacità di portare a casa una vittoria militare non c’è. Gli è impossibile portare la guerra a una conclusione, è incapace di orchestrare una vittoria decisiva in qualsiasi forma, modo o maniera: le frange più estreme del suo stesso regime si libereranno di lui. Assad, con la sua stessa retorica, ha posto la sua inevitabile fine nelle mani dei suoi alawiti.

    di Aboud Dandachi (Questo pezzo è stato scritto sul suo blog “From Homs to Instanbul” da Aboud Dandachi, un siriano di Homs fuggito in Turchia a causa della guerra. Il titolo originale è “One Day, it Will be an Alawite Who Finally Kills Assad”)

    *traduzione di Sarah Marion Tuggey