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Moreno González, il narcos che morì due volte

Redazione

Poco più di venti giorni fa, quando in Messico è stato arrestato dai reparti della marina il più grande narcotrafficante del mondo, Joaquín “El Chapo” Guzmán, la notizia della cattura generò infiniti sospetti. E’ un sosia e il vero “Chapo” se la sta spassando sulla Sierra madre; è stato venduto; si è messo d’accordo col governo e venderà i suoi compagni – decine sono state le ipotesi venate di complottismo, apparse anche sui media più stimati. Il fatto è che spesso il governo di Città del Messico dà ai complottisti messicani eccellente materiale su cui lavorare.

di Eugenio Cau

    Poco più di venti giorni fa, quando in Messico è stato arrestato dai reparti della marina il più grande narcotrafficante del mondo, Joaquín “El Chapo” Guzmán, la notizia della cattura generò infiniti sospetti. E’ un sosia e il vero “Chapo” se la sta spassando sulla Sierra madre; è stato venduto; si è messo d’accordo col governo e venderà i suoi compagni – decine sono state le ipotesi venate di complottismo, apparse anche sui media più stimati.

    Il fatto è che spesso il governo di Città del Messico dà ai complottisti messicani eccellente materiale su cui lavorare. Ieri, per esempio, le autorità hanno annunciato che nello stato del Michoacán, sulla costa del Pacifico, il fondatore e primo capo del cartello chiamato “Familia Michoacana”, Nazario Moreno González detto “El Chayo”, sarebbe stato ucciso dalle forze dell’ordine durante uno scontro a fuoco – per la seconda volta.

    Moreno González era già stato dato per morto nel dicembre 2010, quando l’allora presidente Felipe Calderón, originario del Michoacán, annunciò l’uccisione del capo come un grande trionfo della sua guerra contro il narcotraffico, in quegli anni all’apice della violenza. Dopo la morte di Moreno González, dicono gli analisti, la “Familia Michoacana” si frantumò, i suoi membri di spicco si riunirono per formare un nuovo cartello, quello dei “Caballeros templarios”. Peccato che Moreno González in realtà non fosse mai morto, e che anzi, grazie alla protezione che la falsa notizia della sua morte gli aveva fornito, fosse lui a dirigere le operazioni del nuovo gruppo dei “Cavalieri templari”.

    Moreno González era famoso per l’aura religiosa di cui aveva rivestito le operazioni del suo cartello. Portava sempre con sé una “Bibbia” di proprie citazioni modellate sui versetti biblici e rivendicava il “diritto divino” di uccidere i suoi nemici. La sua azione più famosa fu un omicidio di massa in una discoteca di Uruapán, Michoacán, nel 2006. Dopo aver ammassato cinque teste decapitate sulla pista da ballo fece lasciare un messaggio che diceva: “La Familia [Michoacana] non uccide per denaro, non uccide le donne, non uccide gli innocenti. Solo quelli che meritano di morire muoiono”. Sotto Moreno, la “Familia” reclutava i suoi sicari nelle comunità di recupero per tossicodipendenti. Impediva loro di drogarsi, i membri della “Familia” dovevano rimanere puri, e inviare tutta la droga negli Stati Uniti. Dopo la prima morte di Moreno, nel 2010, ad Apatzingán si sviluppò un culto intorno alla sua persona, molti lo invocarono come un “messia” criminale, e in questi quattro anni le voci che smentivano la sua morte hanno accresciuto il suo prestigio.

    Da circa un anno, ma con maggiore forza dalla fine del 2013, in Michoacán e in particolare nella zona di Apatzingán è in corso una guerra tra il cartello dei Cavalieri templari e gruppi di cittadini armati che hanno formato delle milizie “di autodifesa”. Le milizie sostengono che il governo del presidente Enrique Peña Nieto non sta facendo abbastanza per combattere il narcotraffico, e si sono armate per farsi giustizia da sole. Sono riuscite a scacciare i narcos da molte città e ad avanzare sui grossi centri, ma la forza che il movimento sta acquisendo desta preoccupazione. In fondo, è così che negli anni 80 è nata la “Familia michoacana”, come milizie paramilitari di difesa contro la criminalità.

    Il governo intanto dice che questa è la volta buona, il “Chayo” è morto per davvero. La Procura generale dello stato mostra le impronte del capo ucciso, nelle conferenze stampa i funzionari dicono che l’identità di Moreno è sicura “al cento per cento”. Magari la seconda morte del capo dei Cavalieri templari è quella buona, ma intanto in Messico i complottisti urlano “Te l’avevo detto!”. A volte è difficile dargli torto.

    di Eugenio Cau