Berlinguer, una seduta spiritica

Redazione

Tanto di cappello a Walter Veltroni che con il suo docu-film su Enrico Berlinguer ha riportato la sinistra italiana dentro l’ombra di un sogno antico e poetico perfino. Ma tanto di cappello sopra tutto per la cerimonia romana di due sere fa, all’Auditorium, nella quale s’è ricomposto il ritratto di famiglia post comunista in un interno umido di affetti, nel quale la retorica veltroniana s’è fatta autoanalisi e pianto rituale.

    Tanto di cappello a Walter Veltroni che con il suo docu-film su Enrico Berlinguer ha riportato la sinistra italiana dentro l’ombra di un sogno antico e poetico perfino. Ma tanto di cappello sopra tutto per la cerimonia romana di due sere fa, all’Auditorium, nella quale s’è ricomposto il ritratto di famiglia post comunista in un interno umido di affetti, nel quale la retorica veltroniana s’è fatta autoanalisi e pianto rituale. L’epica berlingueriana, raccontata attraverso i documenti dell’epoca ma con la parola e il volto di molti protagonisti ancora in primo piano (da Giorgio Napolitano ed Emanuele Macaluso in giù, anzi giù-giù fino al gradito intruso Jovanotti), ha magnetizzato gli spettatori di una proiezione che aveva i contorni del grande rito collettivo. Veltroni è il valoroso intellettuale che sappiamo, con le sue glorie e reticenze e paraculaggini (lo dimostra il grandangolo troppo partigiano sul rapporto conflittuale tra Craxi e Berlinguer), gli è comunque riuscita l’impresa di convocare la nomenclatura di famiglia in una spettacolosa seduta spiritica in cui non era tanto l’ex segretario del Pci a dover manifestarsi dall’altrove, quanto il corpo psichico intero del post comunismo italiano. Di là dalla sfera emotiva, quella a cui Veltroni riesce a parlare con più efficacia quando si affida alla forza della memoria selettiva, conta l’immagine dell’insieme. E’ come se l’altroieri un mondo intero avesse scelto di celebrare le proprie radici, lamentando una morte acerba e il dissolversi di tante (eccessive?) speranze riposte in Berlinguer; e tutto ciò con l’obiettivo di consacrare nel modo più degno il proprio avvenuto trapasso. Renzi non c’entra, ma anche sì.