Class action da 9 miliardi

Così la Silicon Valley ha tradito i suoi talenti e lo spirito americano

Redazione

In una delle email c’è Steve Jobs, il fondatore di Apple morto nel 2011, che minaccia Sergey Brin di Google: “Se provi ad assumere anche uno solo dei miei, sarà la guerra”. In un’altra Jobs è infuriato con Eric Schmidt, che di Google era il ceo, perché a Mountain View stavano cercando di assumere uno dei suoi ingegneri. Abbiamo un accordo, gli dice, non lo state rispettando. Nel giro di un’ora, Google licenzia il responsabile delle risorse umane che aveva cercato di assumere il dipendente di Apple. Quando Jobs lo viene a sapere manda a uno dei suoi collaboratori una mail con una faccina soddisfatta.

    In una delle email c’è Steve Jobs, il fondatore di Apple morto nel 2011, che minaccia Sergey Brin di Google: “Se provi ad assumere anche uno solo dei miei, sarà la guerra”. In un’altra Jobs è infuriato con Eric Schmidt, che di Google era il ceo, perché a Mountain View stavano cercando di assumere uno dei suoi ingegneri. Abbiamo un accordo, gli dice, non lo state rispettando. Nel giro di un’ora, Google licenzia il responsabile delle risorse umane che aveva cercato di assumere il dipendente di Apple. Quando Jobs lo viene a sapere manda a uno dei suoi collaboratori una mail con una faccina soddisfatta.

    Secondo le carte di un processo che dovrebbe iniziare il mese prossimo, ma la cui documentazione è stata rilasciata di recente, tra il 2005 e il 2009 dentro la Silicon Valley ci sarebbe stato un grandioso cartello tra ceo per evitare di rubarsi a vicenda gli impiegati migliori: prima di fare un’offerta a un ingegnere di un’altra compagnia, devi chiedere il permesso. A volerlo sarebbe stato Jobs, e avrebbero partecipato quasi tutti: Apple, Google, Intel, Pixar, Adobe. Facendo cartello, i giganti della Silicon Valley evitavano la guerra delle assunzioni e tenevano bassi gli stipendi: se i migliori talenti non sono contesi, non c’è bisogno di rilanciare sulla loro paga. La storia del cartello nasce da una vecchia indagine del dipartimento di Giustizia americano iniziata nel 2010 e finita senza ammende, ma è tornata sui media (per primo il sito PandoDaily) quando 64 mila tra programmatori e ingegneri della Silicon Valley hanno organizzato una grande class action contro i loro (spesso ex) datori di lavoro. Li accusano di avere boicottato le loro carriere e di avere “cospirato” per mantenere basse le loro paghe. Chiedono danni per 3 miliardi di dollari, che secondo le regole dell’Antitrust americana potrebbero essere triplicati a 9, e dalle indagini sono usciti decine di documenti e carteggi via email pieni di pettegolezzi che mostrano come i giganti della Valley, mentre in teoria combattevano fieramente per accaparrarsi i talenti migliori, cospirassero per evitare la competizione.

    Bill Campbell è il capo di Intuit, una delle aziende coinvolte nel processo, ed è stato consigliere dei ceo di mezza Silicon Valley, da Steve Jobs a Eric Schmidt. Secondo il Wall Street Journal era Campbell l’uomo incaricato di fare la spola tra le aziende tech per favorire gli accordi segreti. I primi contatti tra Apple e Google si devono a Campbell, ed è dalla sua email che gli inquirenti hanno estratto molte conversazioni compromettenti. Nel 2008 i componenti del cartello diedero a Campbell il compito di contattare Sheryl Sandberg, vicepresidente di Facebook, che in quei mesi stava crescendo incredibilmente e stava attirando talenti. Sandberg era una ex dipendente di Google, e Campbell non riuscì a convincerla a entrare nel cartello. Da allora l’azienda di Zuckerberg è stata tenuta sotto controllo dai concorrenti.

    Le ossessioni di Steve Jobs - Il mito della Silicon Valley vuole che la merce più preziosa per i giganti del tech siano le idee. Ma il culto per l’innovazione è diventato feticismo e paranoia, sono famosi i racconti degli assurdi protocolli di segretezza pretesi da Steve Jobs. Per Jobs le idee dovevano essere protette ad ogni costo, e bisognava evitare che i grafici, gli ingegneri e i programmatori che ne erano i portatori sfuggissero al suo controllo. La personalità ossessiva di Jobs è tanto importante che nei giorni scorsi i legali di Apple hanno chiesto che durante il processo non se ne parli.

    Il New York Times ha chiamato la class action degli ingegneri un “dramma della Silicon Valley”, che arriva nel periodo peggiore per i giganti del tech. A dicembre uno degli organizzatori della causa, un programmatore di 43 anni, ha cercato di aggredire un agente di polizia, secondo alcuni a causa dello stress, ed è stato ucciso. A San Francisco e nella Bay Area le aziende della Valley sono viste con ostilità: la loro presenza ha provocato una bolla immobiliare e le navette lussuose che trasportano gli ingegneri intasano il traffico. Gli abitanti di San Francisco protestano da mesi, bloccano le navette e gridano alla lotta di classe. A peggiorare la situazione sono arrivate le rivelazioni del leaker Edward Snowden, secondo cui le aziende del web avrebbero collaborato con i programmi di spionaggio della Nsa.

    L’inizio del processo è fissato per il mese prossimo, e per la Valley le udienze potrebbero diventare una sequela dolorosa di rivelazioni imbarazzanti, conversazioni segrete, ossessioni nascoste. Molti scommettono che Google e le altre faranno di tutto per evitarlo, e per chiudere la pratica con un accordo extragiudiziario.