Girone D

Redazione

Uruguay, Costa Rica, Inghilterra, Italia

Uruguay

 

Il 10 luglio del 2010 l’Uruguay si classificò quarto ai Mondiali del Sudafrica, il primo marzo 2010 si era già insediato alla presidenza Pepe Mujica. Questi quattro anni sono stati di apoteosi per l’ex guerrigliero, ricevuto da Obama come il “presidente che si è guadagnato il rispetto di tutto l’Emisfero” e celebrato come “l’ultimo eroe della politica” in un documentario di Kusturica. Ammirato non solo per la legalizzazione della marijuana, ma anche perché viaggia con gli aerei di linea e il suo vecchio Maggiolino, vive in una piccola fattoria e devolve il 90 per cento dello stipendio in beneficenza. Nel frattempo il pil è continuato a crescere a ritmi del 4-5 per cento l’anno, e la Nazionale ha vinto la coppa America del 2011. Però è la quarta volta di fila che arriva quinta al girone sudamericano e deve conquistarsi la qualificazione ai Mondiali in spareggio con una squadra asiatica o nordamericana.  E i cugini argentini sfottono i  “campioni del ripescaggio”.

 

Costa Rica

 

Ai Mondiali del 2010 non c’era: quinta nel girone nordamericano, in spareggio con la quinta sudamericana era stata fatta fuori dall’Uruguay. In compenso alle elezioni del 2010 Laura Chinchilla era stata la prima donna ad arrivare alla presidenza del paese. Ma i sondaggi l’hanno poi confermata costantemente come il capo di stato più impopolare dell’America latina, e il candidato del suo stesso Partito Liberazione Nazionale (Pln) Johnny Araya ha fatto campagna elettorale per il voto del 2 febbraio facendo finta di non conoscerla. Non è servito, e ha allora deciso di rinunciare al ballottaggio del 6 aprile, spianando la vittoria a Luis Guillermo Solís Rivera. E’  il  presidente più a sinistra della storia della Costa Rica, ma poiché dopo la sua vittoria l’Intel ha  annunciato la chiusura delle sue attività, Solís Rivera è subito corso negli Usa, ottenendo nuovi investimenti. La Nazionale della Costa Rica, invece, sostanzialmente va in Brasile a fare puro atto di presenza.

 

 

Inghilterra

 

Nel 2010 i conservatori avevano appena vinto, ma non stravinto, le elezioni inglesi quando si è ripresentato, nella sua forma più tremenda, il panico da rigore. Quattro anni dopo il panico c’è ancora – e per questo c’è uno psicologo al seguito – ma il Regno Unito è tornato a sorridere. I radicali dell’austerità del governo Cameron, disegnati sulle copertine dei giornali con la cresta da punk, hanno tenuto duro quando tutto il mondo sussurrava “spendete spendete spendete” e ora possono guardarsi intorno anche un po’ sbruffoni perché l’economia cresce, tutti aspirano a essere come l’Inghilterra, il Fondo monetario si è rimangiato i suoi allarmi, la Cool Britannia è tornata. E in controtendenza con il resto dell’Europa ha ancora la sua regina, e persino un altro piccolo erede al trono di nome George.

 

 

Italia

 

Era il 2010, era sempre giugno, era tempo di Mondiali, e l’Italia, quella guidata da un lato da Silvio Berlusconi e dall’altro da Marcello Lippi, era un’Italia tesa, dilaniata, combattuta e complicata da decifrare. Rispetto a quattro anni fa nel nostro paese le uniche costanti sono i moniti di Napolitano sulla legge elettorale, gli editoriali di Travaglio contro la Nazionale, la qualità dei servizi di Enrico Varriale, la puntualità dei collegamenti di Rai Sport, la volontà di Alfano di conquistare il centrodestra, la difesa della Nazionale solida come le coperture delle finanziarie. Per il resto è cambiato tutto. Nel 2010 Fini aveva appena chiesto a Berlusconi se davvero il Cavaliere era lì lì per cacciarlo dal partito. Scajola aveva appena scoperto che qualcuno graziosamente gli aveva a sua insaputa comprato una bella casa nei pressi del Colosseo. D’Alema era ancora un apprezzato dirigente del Pd. Renzi era ancora un simpatico zuzzurellone che passava il tempo a tuittare e a organizzare Leopolde con Pippo Civati. Pier Ferdinando (chi?) Casini minacciava di scalare il centrodestra (“Pronta l’opa di Casini sul Pdl”). Vendola si preparava a scalare il centrosinistra (“Pronta l’opa di Vendola sul Pd”). Montezemolo si preparava a rinviare ogni weekend la sua discesa in campo (“Yes, weekend”). E il governo, allora di centrodestra, osservava il Sudafrica e sperava in un exploit della Nazionale per tirarsi un po’ su, dimenticare Casoria e dimostrare che la Nazionale che funziona è sintomo di una Nazione che funziona (nel 2010 siamo gloriosamente usciti dal Mondiale perdendo con la Slovacchia nel girone). Oggi, al governo, c’è un presidente che ha 40 anni in meno del suo predecessore. Suo compito far rinascere l’Italia, riportare la disoccupazione ai livelli del 2010 (oggi è al 12 per cento, quattro anni fa all’8), combattere il debito pubblico, eccetera eccetera, ma soprattutto fare una cosa che non è mai riuscita a Berlusconi. Che per cinque volte si è ritrovato a incrociare il proprio destino con quello degli Azzurri. Che per cinque volte si è ritrovato a veder tornare a casa, depressi, i calciatori. E che per cinque volte si è sentito dire che la Nazionale che va male è lo specchio del paese che va a fondo. Questa volta non ci sono Casorie, non ci sono che-fai-mi-cacci (semmai Matteo-mi-ospiti?), non ci sono opa di Casini, non ci sono case a nostra insaputa. Tutto molto bello. Ma anche sul capitolo nazionale il destino di Renzi sembra essere anche qui molto simile a quello del Cavaliere. Pronto per lo Zeru Tituli, Matteo?