Renzi e le manette della sinistra
Perché essere più grillino di Grillo paga nelle urne ma non conviene
Matteo Renzi è uscito fortissimo dalla verifica elettorale indiretta delle europee e delle amministrative parziali e sembra in grado di rintuzzare i colpi di coda della residua minoranza interna non rassegnata alla duplice guida renziana del governo e del partito. Avrebbe quindi anche l’autorevolezza per impostare sul tema cruciale della crisi istituzionale italiana, quello dello strapotere giudiziario, una politica riformatrice e riequilibratrice. Invece sembra che su questo punto preferisca mantenersi nell’ambiguità, magari con l’idea di conquistare altri consensi di provenienza grillina, invece di affermare una propria visione. Un atteggiamento che forse continuerà a pagare in termini elettorali, ma che non aiuta a risolvere uno dei problemi che ostacolano più pesantemente l’affermazione della funzione regolatrice della democrazia politica. Nei casi più recenti si è potuta misurare questa ambiguità. Nel commento alla votazione parlamentare favorevole a una qualche sanzione per gli errori gravi dei magistrati, il premier ha immediatamente promesso di cancellare questa opzione, anche se ha poi considerato esagerate le proteste dell’organizzazione rappresentativa della magistratura. Nella definizione dei poteri da attribuire al “commissario anticorruzione”, che pure rappresenta un tentativo di dimostrare la capacità della politica di dotarsi di strumenti idonei a combattere il fenomeno senza lasciare tutto il potere alla magistratura, ha preferito sottolineare gli aspetti giustizialistici e demagogici. Anche nella vicenda un po’ confusa che ha coinvolto il sindaco di Venezia, l’atteggiamento della segreteria del Partito democratico è stato del tutto subalterno alle iniziative, peraltro, in questo caso, piuttosto mutevoli, della magistratura. Non ha nemmeno preso in considerazione il principio dell’innocenza fino a condanna definitiva, ha goffamente tentato di negare il collegamento del sindaco con il partito che ne ha proposto la candidatura e finanziato la campagna, concludendo con la richiesta di dimissioni finale che avrebbe potuto essere giustificata con l’evidente rottura del rapporto di fiducia tra partito e sindaco, non con l’allusione farisaica al patteggiamento. Si tratta di episodi in cui si nota una caduta di stile, una preoccupante accettazione dei lemmi delle campagne giustizialiste, seppure accompagnate da vaghi accenni all’esigenza di riforme incisive anche dell’ordinamento giudiziario. Si vedrà presto se questa ambiguità sarà sciolta nel senso di una riaffermazione del ruolo della politica e delle garanzie, che la forza accumulata permetterebbe a Renzi di proclamare senza troppe timidezze, o in quello della subalternità culturale e politica allo strapotere giudiziario.
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