Kerry arriva a Baghdad e fa pressioni su Maliki
L'America vuole un governo più inclusivo, aperto alle minoranze. Ma al vaglio c'è anche il passo indietro del premier sciita. E i consiglieri americani giunti nel paese giudicano inadeguato l'esercito governativo.
Il segretario di Stato americano John Kerry è atterrato a Baghdad per fare pressioni sul premier Nuri al Maliki per formare un nuovo governo più inclusivo in risposta agli attacchi dell'Isis. La visita di Kerry arriva dopo che lo Stato islamico dell'Iraq e del Levante ha conquistato punti di accesso chiave al confine con la Siria. Si tratta di territori strategici per il passaggio di armi e uomini tra i due paesi. L'Isis ha inoltre occupato il valico di Anbar al confine con la Giordania. La frontiera con la Siria è ormai estremamente permeabile e rappresenta un'importante conquista per i jihadisti che mirano alla creazione di un vasto califfato che superi i confini tracciati dagli occidentali.
Domenica, la guida suprema iraniana, l'Ayatollah Ali Khamenei, ha accusato Washington di voler riprendere il controllo dell'Iraq dopo l'invasione del 2003. Un'accusa che Kerry ha respinto, affermando che il solo interesse degli Stati Uniti è quello di aiutare l'Iraq contro la minaccia terroristica. Teheran ha fatto sapere di essere contraria a qualsiasi intervento militare in Iraq, in particolare condotto dagli Stati Uniti. In questo modo, Khamenei ha messo in forte dubbio qualsiasi ipotesi di collaborazione con Washington contro i jihadisti sunniti, ventilata nei giorni scorsi.
Ciononostante, la visita di Kerry dovrebbe portare l'Amministrazione americana a uscire dallo stallo decisionale sul tema della crisi irachena. A parte l'invio deciso pochi giorni fa da Obama di 300 consiglieri militari a Baghdad, gli Stati Uniti sono infatti rimasti cauti in merito a qualunque altra forma dì intervento. E' stato il personale inviato da Washington per aiutare le autorità irachene nella guerra contro l'Isis a rilevare recentemente l'inadeguatezza dell'esercito governativo. Il morale è basso, le forze aeree troppo esigue e le truppe di terra non dispongono delle capcità necessarie per contrastare l'avanzata dell'Isis, hanno riferito i consiglieri militari già nel paese. Delle 12 divisioni a disposizione dell'esercito di Baghdad, 4 sarebbero "inefficaci nel combattimento", hanno fatto sapere al New York Times. La caduta di Baghdad resta al momento lo scenario peggiore e ancora improbabile ma non completamente da scartare.
Sul piano politico, Kerry ha ribadito che Washington non ha alcuna intenzione di scegliere chi debba governare l'Iraq; tuttavia, la politica discriminatoria di Maliki nei confronti dei sunniti, dei curdi e anche di alcuni clan sciiti ha portato la Casa Bianca ha insistere sulla necessità di un nuovo governo di coalizione per risolvere la crisi politica nel paese. Dopo le elezioni dello scorso aprile, Maliki ha raccolto la maggioranza dei voti ed è ora incaricato di formare un nuovo esecutivo in questi giorni. Kerry intende quindi convincerlo a renderlo più inclusivo nei confronti delle minoranze. Se ciò non dovesse bastare gli Stati Uniti accetterebbero anche un cambiamento più radicale: Maliki potrebbe non essere più indispensabile e l'ipotesi di un suo passo indietro è stato fatto presente anche recentemente alle autorità di Baghdad. Una richiesta che comunque ha portato i rapporti tra l'Amministrazione Obama e Maliki ai minimi termini.
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