Immunità, urlatori e cinismo
Ciò che resta dell’art. 68 è poco, ma Renzi dovrebbe difenderlo meglio.
La canea che si è sollevata dopo l’accordo sulla riforma del Senato sull’estensione a questa rinnovata Camera, per quanto non più elettiva, delle modestissime forme di tutela dell’autonomia della politica rispetto ai rischi di parzialità giudiziaria rimaste a Montecitorio dopo lo sciagurato smantellamento dell’articolo 68 spiega già da sola le ragioni che hanno indotto gli stessi presentatori della riforma a negare, un po’ ipocritamente, di aver inserito la norma sulla cosiddetta “immunità”. Non c’è bisogno di spiegare che l’immunità che era stata prevista e inserita dai Costituenti è stata abolita insieme all’articolo 68 sotto la pressione mediatica giustizialista di Mani pulite. In quel modo l’equilibrio costituzionale tra legislatori e ordine giudiziario è stato rotto in modo irreparabile e quel moncherino che è rimasto, l’esame sulla possibilità che vi sia un “fumus persecutionis” nell’azione del magistrati, viene gabellato come privilegio parlamentare proprio da una casta giudiziaria che rifiuta di rispondere della sua responsabilità civile. L’atteggiamento un po’ furbesco assunto dai presentatori e soprattutto dal governo, che ha vistato il testo degli emendamenti, non è proprio un esempio di chiarezza e di coraggio politico, ma purtroppo risulta comprensibile, visti i precedenti.
Matteo Renzi, l’unico che nella situazione attuale avrebbe l’autorevolezza politica per reagire alla sguaiata campagna giustizialista e antiparlamentare, che non è solo farina di Grillo, sa bene che fine hanno fatto uomini politici come Bettino Craxi, e ora quel che sta patendo Silvio Berlusconi, che hanno reagito con fermezza e accenti sinceri allo strapotere giudiziario, sfidandolo sul campo delle riforme e dell’equilibrio tra i poteri. Renzi finora sembra mantenere invece un atteggiamento ambiguo, come dimostra anche questo caso della cosiddetta immunità: l’ha autorizzata ma poi l’ha declassata a problema secondario e ha lasciato dire al ministro Boschi che, fosse per loro, non l’avrebbero nemmeno messa. Probabilmente è convinto che prima di poter reggere a una prova di forza con la magistratura è necessario riorganizzare il sistema istituzionale in modo da restituire alla sovranità popolare gli strumenti per esercitare la sua funzione in modo decisivo. Si tratta però forse di un eccesso di calcolo prudenziale: continuando a cedere alle pretese del circo mediatico-giudiziario, in attesa che si creino le condizioni per una reazione vittoriosa, si rischia di rendere più difficile nel tempo la possibilità di restaurare un equilibrio razionale tra gli ordini dello stato. Se è vero che quel che resta del giusto principio dell’immunità parlamentare è solo un modesto simulacro, questo non significa che non valga la pena di difenderlo comunque, proprio come simbolo di una battaglia che non si considera persa definitivamente. Un eccesso di cinismo può essere un rischio non ben calcolato.
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