La riforma della Pa non è affare fatto
Sul decreto il governo tiene, ma su spesa e merito è tutto da fare.
Il decreto legge sulla riforma della Pubblica amministrazione è stato promulgato dal presidente della Repubblica e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, a 11 giorni dal Consiglio dei ministri che lo aveva varato. La riforma della Pa, però, non è ancora affare fatto. Il decreto ha un suo quid, certo, e lo dimostrano le opposizioni sollevatesi nel frattempo. Dal punto di vista del metodo, il governo prima ha rifiutato la concertazione coi sindacati (bene), poi ha accettato il consiglio quirinalizio di spacchettare le misure in decreti più omogenei (uno sulla Pa, appunto, e uno sulla crescita; poco male). Nel merito, è rimasto l’impulso originario e condivisibile per favorire un ricambio generazionale nella Pa, da attuare attraverso l’abolizione del trattenimento in servizio. La possibilità di restare in servizio oltre i limiti dell’età pensionabile, contrariamente ai progetti governativi, rimarrà per tutti i magistrati, gli avvocati dello stato e i militari fino alla fine del 2015. La magistratura, lamentando l’autonomia ferita e le difficoltà organizzative che sarebbero nate, ha dunque strappato un trattamento di favore rispetto a tutti gli altri dipendenti dello stato. Cosa che invece, positivamente, non è riuscita ai sindacati che hanno dovuto accettare il taglio dei permessi e dei distacchi loro accordati. La mobilità dei dipendenti, poi, è facilitata nel raggio di 50 chilometri; mentre è saltata la sforbiciata alle consulenze esterne. L’esecutivo in questi 11 giorni è riuscito a non snaturare il decreto. Basta per cantare vittoria? No. Assumere migliaia di giovani, per esempio, senza aggiornare i criteri di selezione e senza introdurre meccanismi meritocratici nella carriera dei travet, rischia di rimandare il problema nel tempo. Sono poi latitanti per il momento obiettivi definiti di razionalizzazione della spesa dell’enorme macchina statale: ma allora dove si troveranno i risparmi previsti dal Def? Infine non c’è traccia di una vera responsabilizzazione della Pa di fronte ai cittadini-contribuenti. Finché non si vedranno, tra qualche mese, i frutti del disegno di legge delega, non si potrà parlare della riforma della Pa utilizzando il tempo “passato”.
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