Condannati al patto
Così il Cav. triangola con i ringhiatori per dare più forza al partito del dialogo
Il guinzaglio lungo offerto ai sabotatori, i negoziati che continuano, l’asse con Renzi, le riunioni, la linea che prevale
Guinzaglio lungo ai sabotatori e negoziati complessi, sottoposti alle mille sollecitazioni umorali del Cavaliere, all’incubo giudiziario di una condanna in appello nel caso Ruby. Ma Silvio Berlusconi le riforme le vuole fare, come dice Paolo Romani, il capogruppo di Forza Italia in Senato. “I patti ci sono e bisogna rispettarli”, dice. “Capisco i malumori dei miei colleghi senatori, ma bisogna fidarsi di Renzi. E Renzi deve fidarsi di noi perché manterremo la parola data”. Eppure tutto si tiene nel complicato passaggio verso l’approvazione della nuova legge elettorale e della riforma del Senato: i malumori di Forza Italia, i piccoli gesti di protagonismo in Senato, le baruffe interne tra la corte di Arcore e il gran feudatario Raffaele Fitto, l’impressione che Berlusconi sia un po’ distratto, distante, abbastanza da consentire ad Augusto Minzolini, Renato Brunetta e altri di sollevare – un po’ autorizzati e un po’ no – il tono della voce di fronte a Denis Verdini, l’ambasciatore, il garante del patto del Nazareno: questa riforma non s’ha da fare. Il Cavaliere, chiuso ad Arcore, dopo le parole rivolte ai magistrati di Napoli – “la magistratura è incontrollata, incontrollabile, irresponsabile e ha l’immunità piena” – ha accolto i consigli del suo gran avvocato Franco Coppi, e ha dunque adottato la tattica del silenzio. Ma occultato, sotto il mutismo cauto, sfigola il timore, la sensazione precisa di un cappio giudiziario che si serra attorno alla gola, e dunque il dubbio gigantesco e velenoso: “Com’è possibile che un giorno faccio il condannato e l’altro sono un padre della patria che fa le riforme con Renzi?”. Il tribunale di Sorveglianza di Milano sta vagliando le frasi contro la magistratura, e il 18 luglio la corte d’Appello di Milano potrebbe confermare la condanna a sette anni nel processo Ruby. “Ma la questione giudiziaria non ha niente a che vedere con le riforme”, conferma Mariastella Gelmini. Eppure s’intrecciano dubbi, timori, tatticismi, e tutto concorre ad alimentare la piccola fronda dei senatori di che guidati da Minzolini, rinfocolatore di complemento, agitano i pomeriggi del gruppo parlamentare di Palazzo Madama.
Ma Verdini non è preoccupato. Il Cavaliere ha lasciato il guinzaglio lungo, ha concesso libertà di ringhio, tutto qua. Al momento opportuno le briglie sciolte saranno tirate con mano ferma. Certo, a Palazzo Chigi, nelle ultime ore, è emersa qualche perplessità sulle mosse di Forza Italia, tanto che Luca Lotti, il sottosegretario e braccio destro di Renzi, ha chiesto a Verdini su quanti senatori certi si potrà contare alla fine. “Tutti”, gli ha risposto Verdini. Il quale, tuttavia, non deve aver nascosto – ce ne fosse bisogno – né a Lotti né a Renzi, la sconsolata matassa di grane che afflige i pensieri del Sovrano di Arcore. Così, forse sarà un caso, ma anche no, dalle parti del Pd si è cominciato ad assumere un atteggiamento distaccato e conciliante intorno ai problemi del Cavaliere, anche – soprattutto – nelle dichiarazioni pubbliche. Lontani i tempi in cui Pierluigi Bersani modulava voce e pensieri su quelli di Antonio Di Pietro. Dice per esempio Debora Serracchiani, vicesegretario: “Sono convinta che i fatti del processo Ruby siano abbastanza superati, almeno nella consapevolezza comune”. E ancora: “Gli italiani non ci votano perché dobbiamo contrapporci a Berlusconi, il processo Ruby non interessa né noi né loro. Gli italiani guardano con interesse al Pd perché si aspettano che facciamo le riforme e risolviamo i guasti”.
Brunetta ha chiesto, e pare ottenuto, per giovedì prossimo una riunione congiunta dei gruppi parlamentari di Forza Italia. Confessa uno degli uomini più vicini al Cavaliere: “Questa riunione non si farà mai”. Chissà. Martedì scorso, in una situazione analoga, Brunetta, Verdini, Romani e Toti s’erano messi a fare baruffa per quasi quaranta interminabili minuti. Ma le ragioni, quelle vere, del conflitto sono misteriose, e pare abbiano poco a che fare con le intenzioni e le volontà del Cavaliere. Spiegano al Foglio: “Brunetta ce l’ha con Renzi (e con Verdini) perché il presidente del Consiglio non lo vuole ai vertici”. E Minzolini? “E’ focoso e appassionato”. Nei tumultuosi rimescolamenti interni, con il rabbuarsi solitario di Raffaele Fitto, adesso Verdini è tornato in asse con Toti, Mariarosaria Rossi e la corte di Arcore. “La sproporzione di forze ormai è evidente anche attorno a Berlusconi”. E insomma il partito del dialogo è maggioranza anche tra i gerarchi del Cavaliere. Mentre lui, Berlusconi, oscilla, come sempre, “ma in fondo sa benissimo che rompere con Renzi significa farsi superare da Grillo, dai trasfughi di Vendola, e dagli sciacalletti del centro di Casini e Alfano”. Tutti in gara per la conquista del cuore matteorenziano.
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