Siamo tutti dopati
Ve li ricordate i ciclisti italiani squalificati? Nelle fiale c’era l’acqua.
Era tutto pronto, processo e imputazioni, la sentenza anche, già scritta, almeno per l’accusa e parte della stampa, perché il caso è uno di quelli che piacciono, che terminano a priori con la colpevolezza degli indagati. E’ sport, ciclismo, quindi doping. E’ il processo Lampre, quello del doping di squadra all’italiana, quello che riguardava la farmacia di Guido Nigrelli a Mariana Mantovana, che smerciava sostanze proibite ai corridori veneti. Imputati atleti e dirigenti, campioni del mondo, Alessandro Ballan, vincitori del Giro, Cunego e Saronni (ds), speranze azzurre e onesti gregari. Dal gennaio 2008 al luglio 2009 si sono susseguiti sequestri e intercettazioni: tutti dopati, il giudizio preventivo sbandierato a televisioni e stampa. Quattro anni dopo la perizia su quanto sequestrato: Voltaren, paracetamolo, lassativi da bancone e qualche pomata contenente corticosteroidi, vietati certo, ma doping solo se in enormi quantità. E le fialette? Soluzione fisiologica. Un buco nell’acqua, nulla, il vuoto più assoluto. All’accusa rimane un pugno di mosche, nient’altro, solo le sostanze dopanti sequestrate a un cicloamatore, solo le intercettazioni tradotte dal dialetto da un perito (dicono niente, perché nulla è esplicito e tutto è solo un chiacchiericcio). Un processo che non s’ha da fare, contestato all’inizio, inutile ora, che ha fatto perdere anni a molti, è costato la carriera a qualcuno, ha gettato l’ennesima ombra di sdegno su di uno sport giudicato marcio a prescindere, senza prove, come certi dibattimenti in aula che sollevano polvere e sicuri colpevoli e che si risolvono in un nulla di fatto, in uno sputtanamento assurdo e immotivato. Lo sport, uno specchio dell’Italia.
Il Foglio sportivo - in corpore sano