L'oblio in rete è un diritto troppo bello per essere vero (Google lo sa)
Da questa settimana, se sei in Europa e digiti su Google il nome di Dougie McDonald, un arbitro inglese coinvolto in un vecchio scandalo calcistico, non appariranno gli stessi risultati di chi potrebbe fare una ricerca simile in America.
Roma. Da questa settimana, se sei in Europa e digiti su Google il nome di Dougie McDonald, un arbitro inglese coinvolto in un vecchio scandalo calcistico, non appariranno gli stessi risultati di chi potrebbe fare una ricerca simile in America. Chi cerca in Europa non vedrà, per esempio, tre articoli scritti dal Guardian nel 2010, che fuori dal continente sono ben visibili in alto tra i risultati. Il diritto all’oblio, il diritto concesso all’Europa affinché Google, la grande memoria storica di internet, ci faccia compilare un format e si dimentichi di noi, o almeno di quelle tracce che non vogliamo siano più trovate da nessuno, è arrivato, ma potrebbe non essere così male.
La sentenza della Corte di giustizia europea risale a maggio. Da quel momento, se in giro per internet c’è un articolo “inadeguato, irrilevante o non più rilevante” che un utente europeo ritiene lesivo del proprio buon nome, è possibile costringere Google a cancellarlo dai suoi risultati di ricerca – il che equivale a renderlo introvabile su tutta l’internet europea. Nelle ultime settimane Google ha ricevuto decine di migliaia di richieste di oblio, mercoledì il motore di ricerca ha iniziato ad adempiere la sentenza e sono arrivati i problemi. Google ha iniziato a notificare al Guardian, alla Bbc e ad altre testate che per rispettare la sentenza della Corte europea avrebbe iniziato a rimuovere dai suoi risultati di ricerca in Europa alcuni articoli. Era una semplice notifica. Secondo la Corte, l’azione di Google è unilaterale (i siti che subiscono l’oblio non possono obiettare in nessun modo) e la discrezionalità del motore di ricerca nel decidere quali articoli sono “irrilevanti o non più rilevanti” e quali rientrano nel diritto di cronaca è assoluta. Le polemiche sono iniziate quasi subito. Il diritto all’oblio mette in pericolo la libertà di stampa, si è detto, ora chiunque potrà censurare i grandi giornali riempiendo un questionario. Quando poi si è scoperto che tra gli articoli “censurati” ce n’era anche uno che parlava di Stan O’Neal, l’ex capo della banca di investimenti Merrill Lynch costretto a dimettersi nel 2007 per scandali finanziari, è apparso il fantasma dei poteri forti, e su Twitter si è sfiorata l’isteria (poi si è capito che a chiedere l’oblio per quell’articolo non era stato O’Neal).
E’ bastato poco tempo perché nascessero le prime obiezioni e i primi sospetti. L’obiezione più importante, fatta da Chris Moran, che è l’esperto di motori di ricerca del Guardian, è che non è vero, come ha scritto Robert Peston, il giornalista della Bbc autore dell’articolo su O’Neal, che “un post che ho scritto nel 2007 non sarà più rintracciabile cercando su Google in Europa”. Non lo sarà se la chiave di ricerca è il nome del richiedente del diritto all’oblio (che non è O’Neal), se lo si cerca con parole diverse l’articolo appare in buona evidenza. L’oblio, dunque, è solo apparente. Poi ci sono i sospetti. Moran scrive che il modo in cui Google ha eseguito la sentenza è “un’ovvia idiozia”: è palese che nessuno degli articoli “censurati” possa essere considerato “irrilevante”. Soprattutto, hanno aggiungo altri, è strano che il gigante del “don’t be evil”, quello che si è scontrato con la Cina per la libertà d’espressione, ora mieta articoli tra i giornali europei senza fiatare. Il fatto è che la sentenza della Corte europea è ancora in tempo per essere emendata, e Google da settimane sta organizzando una campagna possente per ribaltare la percezione sul diritto all’oblio. Alcuni pensano che la “censura” ai giornali rientri in questa campagna: è bastato prendere di mira qualche grande testata per far alzare su internet l’onda dell’indignazione dei tweet e degli hashtag che chiedono l’eliminazione del diritto all’oblio, trasformato in un pericolo per la libertà di stampa. La mossa di Google con i giornali “non è una buona scelta”, diceva ieri Ryan Heath della Commissione europea. Le cose non stanno andando come sperava l’Europa.
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