Quante falsità sul falso in bilancio
Nel progetto Renzi di riforma della giustizia, accanto a obiettivi lodevoli, c’è anche la reintroduzione del reato del falso in bilancio, un vecchio tic della sinistra giustizialista, basato, curiosamente, proprio su un falso.
Nel progetto Renzi di riforma della giustizia, accanto a obiettivi lodevoli, c’è anche la reintroduzione del reato del falso in bilancio, un vecchio tic della sinistra giustizialista, basato, curiosamente, proprio su un falso. Infatti non è vero che il falso in bilancio oggi non sia punito come reato. Lo è, con una pena sino a 2 anni anziché a 5 come in passato, e solo se le comunicazioni sociali considerate non veritiere determinano una variazione maggiore del 5 per cento nel profitto e dell’1 per cento nel patrimonio e se, per le singole poste giudicate false, la variazione è almeno del 10 per cento. Non è neppure vero che le modifiche sono iniziate con leggi dei governi Berlusconi, dato che iniziarono con il governo Amato, quando in Italia si introdussero le più esigenti e complesse norme europee di contabilità prudenziale, che fanno divergere sempre più il bilancio commerciale da quello fiscale, creano complessi problemi di verità del bilancio – diverse a seconda dell’ottica da cui ci si pone – nella stima di voci come gli ammortamenti, i beni immateriali, le perdite su crediti, le minusvalenze e le plusvalenze derivanti da oscillazioni nei cambi, eccetera. Se lo scopo è combattere truffe, corruzione, riciclaggio, evasione o frode fiscale, è di questi crimini che ci si deve occupare, non del falso che potrebbero generare nel bilancio, che è un accessorio opinabile. L’inasprimento dei presupposti e delle pene per il falso in bilancio è dunque un falso obiettivo, dietro cui si cela il desiderio di accrescere l’area del diritto penale, nei reati ove l’inquirente ha il maggior potere discrezionale e la maggior possibilità di interferire con il mercato, considerato, pregiudizialmente, come una cosa sporca.
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