Pier Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

Mediatrade, assoluzioni col botto

Redazione

Il famoso processone Mediatrade è finito con la netta sconfitta di chi lo ha montato. Pier Silvio Berlusconi, come suo padre Silvio già prosciolto dal gup e poi in Cassazione, non ha frodato il fisco così come i vertici di Mediaset e il presidente Fedele Confalonieri.

Il famoso processone Mediatrade è finito con la netta sconfitta di chi lo ha montato. Pier Silvio Berlusconi, come suo padre Silvio già prosciolto dal gup e poi in Cassazione, non ha frodato il fisco così come i vertici di Mediaset e il presidente Fedele Confalonieri: così, inequivocabilmente, stabiliscono i giudici di Milano. Dopo cinque anni d’inchiesta e di processo, dopo la requisitoria dei pm che tentavano di trascinare ancora dentro il Cavaliere “organizzatore di questo grande disegno di frode”, il tribunale ha stabilito che per gli anni 2006, 2007 e 2008 “il fatto non costituisce reato”, e per quanto riguarda l’anno 2005 che i pm non sono riusciti a portare l’accusa fino in fondo e a dimostrarne la fondatezza nei tempi ragionevoli previsti dal codice. Così nasce l’assoluzione per “prescrizione del reato”, che ha esattamente lo stesso valore giuridico di quella piena e chiara per non aver evaso il fisco.

 

Pier Silvio Berlusconi, negli ultimi giorni, ha conquistato l’attenzione dei quotidiani per i suoi attestati di stima nei confronti del governo e di Matteo Renzi. E solo in Italia, paese in cui da vent’anni il cortocircuito tra giustizia e politica è conclamato, ci si trova costretti a soppesare una sentenza con il metro di misura e gli occhiali della politica. Ma tant’è. A questo ci hanno condannato vent’anni di promiscuità, avvisi di garanzia fondati su opinioni e teoremi, opinionisti aggrappati al pane quotidiano degli avvisi di garanzia, vent’anni d’indagini interminabili e capziose in cui i dibattimenti non sono la vera sede di formazione della prova, in cui le fonti delle inchieste sono dubbie o ambigue, in cui la lettura degli atti si presta a un’interpretazione politica perché inaudito è il ruolo pubblico e attivo della magistratura. Così, se Pier Silvio Berlusconi ieri fosse stato condannato, i vernacolieri dissennati delle procure avrebbero brindato al siluramento giudiziario dell’ala governista del partito-azienda Mediaset. Ma così non è stato, e il giovane Berlusconi sfugge alla maledizione del padre. La sentenza, che poteva determinare una situazione febbricitante, non premia la fregola dei nemici. Restituisce invece una scampolo di ragionevolezza in un contesto d’accanimento politico a mezzo giudiziario che ha determinato per Silvio Berlusconi il divieto di far politica e che rischia – con il processo Ruby – di privarlo anche della libertà personale nel momento in cui il suo partito si assume la responsabilità di accompagnare con i propri voti le riforme volute da Renzi. Saranno ancora giorni e ore di tensione. Ma il partito del buon senso sembra tenere botta. A Cologno, a Segrate (e ad Arcore), in famiglia e in azienda, con saggezza e prudenza istituzionale, si lavora a determinare nuove condizioni. E al Quirinale c’è pur sempre un galantuomo.