Mario Draghi (foto LaPresse)

Apparenza e sostanza del gioco di sponda tra Draghi e Renzi

Redazione

In un’altra giornata tesa sui mercati – Borse giù e spread all’insù, nonostante l’ottimo risultato dell’asta dei Bot – le parole di Mario Draghi sono oggetto di attenzione politica e interpretazioni divergenti.

In un’altra giornata tesa sui mercati – Borse giù e spread all’insù, nonostante l’ottimo risultato dell’asta dei Bot – le parole di Mario Draghi sono oggetto di attenzione politica e interpretazioni divergenti. Da Londra Draghi ha invitato i governi dell’euro a osservare, “sempre”, le regole del Fiscal compact. Ma ha anche aggiunto che il bilancio va usato “in maniera da sostenere la crescita”. Ha invocato una governance europea per le riforme, “con una forte titolarità nazionale ma pure con un organismo sovranazionale di valutazione”. Dunque una svolta verso il rigore merkeliano, oppure la fase preparatoria contro l’urto dei falchi nordici che nidificano nel board dell’Eurotower, in vista delle nuove misure espansive d’autunno? Questo impegno Draghi lo conferma: “Se l’inflazione resta bassa useremo strumenti non convenzionali”. Ma al tempo stesso nota che la capacità dei governi di stabilizzare l’economia dipende “dalla capacità di tener basso il debito e il deficit vicino allo zero, e non da una maggiore flessibilità delle norme vigenti”. Nel gran dibattito sulla flessibilità, in apparenza il numero uno della Bce pare merkeliano. Ma nella sostanza, sia confermando le misure non convenzionali – al di là di quel che pensa la Bundesbank – sia riconoscendo alle riforme un valore fondamentale, da codificare a livello europeo, offre al riformista Matteo Renzi e al ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, una sponda non da poco.

 

Non è stato infatti il capo del governo a insistere per anteporre i contenuti alla guerra per le poltrone europee? E non è stato Padoan a Bruxelles a trattare su “riforme in cambio di margini di manovra”, qualcosa di vicino a quei contratti bilaterali tra governi e Commissione Ue che piacciono a Berlino e dei quali il governo Renzi vorrebbe sfruttare le potenzialità, discutendo direttamente con Angela Merkel e discostandosi dal multilateralismo e dal potere sovrano dei commissari che tanti problemi creò, per dire, a Enrico Letta e Fabrizio Saccomanni? Certo, il bollettino della Bce misura quante raccomandazioni del Consiglio europeo sono state attuate dai vari paesi. L’Italia, con sei raccomandazioni ricevute, segna qualche progresso in un solo caso. Ma siamo in numerosa compagnia: su 86 raccomandazioni ai governi dell’Eurozona solo sette sono state attuate “in buona misura”. In questo clima la Zeit, settimanale di Amburgo a tendenza leftist lancia l’ipotesi di una candidatura di Draghi per il Quirinale. Dilungandosi sui dubbi che assalirebbero lo stesso presidente della Bce (“la sua patria è il mondo finanziario internazionale e vuole dimostrare ad amici e oppositori che può sconfiggere definitivamente la crisi. Ma se il paese lo chiamasse non potrebbe sottrarsi”), e soprattutto sulle ipotesi di successione. Per la Zeit “spetterebbe alla cancelliera Merkel di suggerire il nome per il posto più importante d’Europa”. Ma non potrebbe essere “il candidato naturale” Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, “difficilmente sostenibile”.

 

[**Video_box_2**]Più probabile allora il finlandese Erkki Liikanen, “molto influente nella Bce”. Liikanen, socialdemocratico, è stato commissario europeo ai tempi di Romano Prodi, e dal 2004 guida la Banca di Finlandia. La sua “influenza” deriva però dall’avere presieduto nel 2012 il gruppo per la riforma del settore bancario europeo, su indicazione tedesca: tra le ipotesi discusse ci fu il maggior grado di rischio da attribuire negli asset ai titoli di stato di paesi ad alto debito, come Italia e Spagna. Una sorta di Basilea III e un’idea che, come ha rivelato il Foglio l’8 luglio, riprende a circolare tra i paesi nordici. Dove la Finlandia sembra essere la perenne fucina dei candidati di Berlino. E’ evidente che se Draghi lasciasse la Bce e vi si insediasse il fautore di una linea opposta a quella che ha portato all’acquisto di Btp e Bonos, per i falchi tedeschi si tratterebbe di una vittoria paragonabile al 7 a 1 inflitto al Brasile. Così forse non casualmente un riconoscimento del ruolo di Draghi come playmaker della ripresa viene da Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia: le misure della Bce per le Pmi “valgono un punto di pil in più entro il 2016”. Se davvero intorno alla poltrona del presidente della Bce iniziano le danze tedesche, serve magari una sponda da Roma: da fornire attraverso le riforme fatte. Sponda quale quella che a ben vedere Draghi ha dato a Renzi, prendendo in parola le sue promesse.

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