Finché Hamas è un interlocutore, Israele sarà sotto attacco da Gaza
Nel 2005 Israele si è ritirato da Gaza, ma da allora è stato costretto a ingaggiare due guerre per fermare la pioggia di missili e di colpi di mortaio sparati dal gruppo terroristico Hamas e dai suoi alleati. Oggi Israele potrebbe dover combattere per la terza volta per proteggere i suoi cittadini da questi attacchi aerei lanciati senza un obiettivo preciso.
Pubblichiamo un editoriale comparso sul numero di ieri del Wall Street Journal
Nel 2005 Israele si è ritirato da Gaza, ma da allora è stato costretto a ingaggiare due guerre per fermare la pioggia di missili e di colpi di mortaio sparati dal gruppo terroristico Hamas e dai suoi alleati. Oggi Israele potrebbe dover combattere per la terza volta per proteggere i suoi cittadini da questi attacchi aerei lanciati senza un obiettivo preciso. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu sta progettando una campagna militare dopo che Hamas ha scatenato un’altra indiscriminata raffica di razzi caduti in profondità dentro al territorio israeliano. Un video postato su Facebook mostra un razzo lanciato sopra a un matrimonio, con tanto di grida e di sposina in fuga. Questa volta però Netanyahu dovrebbe scegliere di occuparsi della causa del problema più che trattarne soltanto i sintomi. Come “causa” intendiamo Hamas.
Quando Israele si è ritirato da Gaza, ha distrutto 21 insediamenti (e altri quattro in Cisgiordania) e ha trascinato via – forzatamente – novemila settler. Allora i governi occidentali nominarono emissari di alto livello, come l’ex presidente della Banca centrale, James Wolfensohn, per trasformare Gaza in una vetrina per il futuro stato palestinese. Gaza è diventata sì una vetrina, ma di tutt’altro tipo. In un anno – e in parte proprio a causa dell’assenza di Israele – è scoppiata nella Striscia la guerra civile tra Hamas e Fatah, il partito politico del presidente palestinese Abu Mazen. La guerra s’è stabilizzata nel 2007 quando Hamas ha preso il potere con la forza. E poi sono ricominciati i razzi contro Israele, un attacco che è finito con la reinvasione temporanea nel 2009.
Visto che ha voluto difendersi, Israele è stato denigrato come mai prima, anche attraverso il report Goldstone delle Nazioni Unite – di recente decantato dal suo autore, il giudice sudafricano Richard Goldstone (il report voluto dalla comunità internazionale accusava Israele così come anche i palestinesi di crimini di guerra e contro l’umanità). La guerra del 2009 ha ridotto il lancio dei missili in Israele per qualche tempo, ma nel novembre del 2012 Israele s’è trovato di nuovo costretto a combattere. Molte vite israeliane sono state risparmiate solo grazie alla nuova difesa missilistica di Iron Dome. Ora Hamas sembra aver deciso che un’altra guerra potrebbe fornire una grande opportunità politica – e pazienza per gli abitanti di Gaza. Nella regione, Hamas ha perso peso da quando non c’è più il sostegno del siriano Bashar el Assad e soprattutto dopo che l’esercito egiziano ha rovesciato il governo dei Fratelli musulmani di Mohammed Morsi al Cairo l’estate scorsa. Ecco che ora c’è l’occasione di ricominciare l’offensiva dei terroristi.
Hamas deve aver pensato di poter utilizzare l’assassinio del giovane palestinese da parte di una banda di vigilantes ebrei la settimana scorsa – che ha scatenato scontri a Gerusalemme est – per iniziare una terza Intifada contro Israele in tutto il territorio palestinese. La Cisgiordania è stata relativamente calma e prospera per quasi un decennio, e un nuovo confronto militare può mettere nell’angolo Abu Mazen e diminuire il potere politico di Fatah, creando nuove aperture per Hamas, mentre a livello internazionale Israele è ostracizzato. Hamas pensa di poter reiterare la guerra contro una potenza molto più forte perché Israele non ha mai preteso un prezzo fatale. L’aggressione di Hamas serve i suoi interessi politici, mentre i morti palestinesi servono i suoi interessi di propaganda. Questi obiettivi s’allargano quando i governi occidentali chiedono un contenimento mutuale, come se le due parti fossero egualmente responsabili delle violenze. “Insistiamo nel chiedere una de-escalation da entrambe le parti”, ha detto la portavoce del dipartimento di stato Jen Psaki, una richiesta che non ha alcun effetto su Hamas ma che mette pressione solo su Israele.
Il nostro consiglio agli israeliani è questo: se vogliono evitare di andare in guerra a Gaza ogni tre anni, devono distruggere Hamas come entità politica e come potere militare. Non c’è bisogno di una rioccupazione permanente di tutta Gaza, ma una campagna di terra che distrugga la capacità di Hamas di fare una guerra potrebbe essere necessaria. Forse bisognerà riprendere il controllo sul corridoio di Filadelfia lungo il confine con l’Egitto per prevenire il contrabbando sotterraneo di munizioni sempre più sofisticate, per lo più provenienti dall’Iran. Tutto questo sarà condannato dai soliti sospetti. Ma Israele sarà denunciato in ogni caso, per cui gli conviene almeno essere efficace. Nel lungo periodo, Gaza beneficerà del fatto di non dover per forza vivere sotto una leadership che porta senza motivo i cittadini in guerre distruttive e i palestinesi moderati della Cisgiordania potrebbero pure essere sotto sotto soddisfatti nel vedere umiliati i loro oppositori interni.
La pace tra Israele e i suoi vicini rimane un progetto a lungo termine, ma non ha alcuna possibilità di concretizzarsi finché Hamas è visto come un forte e quasi legittimo interlocutore politico.
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