Non è un paese per industriali
Il calo della produzione industriale segnalato ieri dall’Istat ha autorizzato gli economisti di Intesa Sanpaolo e Nomisma a mettere in discussione le già deboli previsioni di crescita per i prossimi mesi. Come accade in Spagna, Francia e Germania, la produzione industriale torna a scendere a maggio.
Il calo della produzione industriale segnalato ieri dall’Istat ha autorizzato gli economisti di Intesa Sanpaolo e Nomisma a mettere in discussione le già deboli previsioni di crescita per i prossimi mesi. Come accade in Spagna, Francia e Germania, la produzione industriale torna a scendere a maggio, dopo un leggero rimbalzo nel primo trimestre: meno 1,8 per cento rispetto allo stesso mese dell’anno precedente e meno 1,2 per cento in confronto ad aprile. Dati che, motivati solo in parte da fattori stagionali, sollevano la necessità di una politica industriale capace di sostenere la competitività aziendale. Il viceministro per lo Sviluppo economico, Claudio De Vincenti, ha suggerito a proposito di rivalutare le partecipazioni statali, non quelle alla Iri, ma nella forma di un capitalismo di stato dalla mano leggera dove, l’azionista pubblico convive col privato e si limita a definire gli indirizzi aziendali lasciando la gestione ai manager e il giudizio al mercato. Resta da capire come questo intento si innesti in complesse crisi nazionali.
Negli Stati Uniti Chrysler è stata rilanciata con i soldi pubblici grazie a delle banche collaborative, a un sindacato ragionevole e a un azionista straniero (Fiat) totalmente dedicato alla missione. Qui le condizioni sono spesso opposte, quando non si aggiungono garbugli giudiziari come nel caso dell’Ilva. A quasi due anni dal primo intervento coercitivo della magistratura (risale al 26 luglio 2012 il sequestro senza facoltà d’uso dell’area a caldo), l’acciaieria è passata dall’essere in attivo a sfiorare il default; fattore, quest’ultimo, che pregiudica la possibilità di un intervento statale. Ora le banche daranno crediti per circa 300 milioni con la garanzia assicurata per decreto dal governo (modello Marzano-bis) di essere rimborsate per prime in caso di fallimento. E’ un sollievo temporaneo per pagare gli stipendi degli operai in agitazione e saldare gli arretrati ai fornitori. Poi servirà una ricapitalizzazione: chi la farà se i proprietari, i Riva, contestano un commissariamento e un piano ambientale calati dall’alto? Se gli animal spirits degli acciaieri italiani sembrano già sopiti? Perfino i supposti salvatori di ArcelorMittal, dopo aver sbirciato conti e impianti, devono valutare l’enorme trade off tra investimento e rischio di finire sotto attenzione dei giudici. Serve richiamare le parole di Sergio Marchionne per ricordare che questo non è un paese per industriali?
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