Aborto, la disfatta francese
Aumentano nonostante tutto. Il fallimento di un modello culturale.
I dati preliminari per il 2013 sugli aborti praticati in Francia parlano di diecimila casi in più (+ 4,7 per cento) rispetto al 2012, dopo che dal 2006 il numero di aborti era rimasto sostanzialmente invariato (circa duecentomila l’anno). Dall’approvazione della legge Veil sull’interruzione volontaria di gravidanza, quarant’anni fa, quel dato non solo non si è mai ridimensionato, ma ora è di nuovo in crescita. E’ il fallimento del “modello contraccettivo” francese, dopo che gravi incidenti vascolari a carico di donne giovanissime hanno abbattuto del sessanta per cento le vendite delle pillole di terza e quarta generazione? O è piuttosto il fallimento di un intero modello culturale, che punta sull’erogazione senza limiti e fin dalla più giovane età di dispositivi di ogni tipo (pillole del giorno e dei cinque giorni dopo, aborto farmacologico con Ru486) ma che in realtà parte da ancora più lontano, cioè dall’onnipresente e inutile (visti i risultati) educazione sessuale scolastica?
Il Figaro intervista medici e funzionari che addebitano la colpa di quell’aumento al nuovo regime di rimborsi, da cui ora sono escluse le pillole sopra citate e che invece copre al cento per cento l’aborto in cliniche e ospedali. “Così l’aborto è diventato un nuovo metodo contraccettivo”, dicono. Non aggiungono che le attività di dissuasione sono del tutto inesistenti, perché contrarie agli interessi economici delle strutture. La ministra socialista per i Diritti delle donne, Najat Vallaud-Belkacem, ha da poco ottenuto una revisione della legge Veil che dichiara l’interruzione di gravidanza “diritto a tutti gli effetti e non qualcosa che si tollera a certe condizioni”. Sarà felice dei nuovi dati.
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