Baghdadi Petroleum
Il Califfato è una potenza petrolifera da un milione di dollari al giorno
Lo Stato islamico ha una strategia per restare, conquista giacimenti e vende greggio iracheno. Primo cliente Assad
Lo Stato islamico guadagna un milione di dollari al giorno dalla vendita di contrabbando di greggio estratto dai territori conquistati in Iraq, scrive l’Iraq Oil Report, e il conflitto tra il gruppo terroristico e il governo di Baghdad assomiglia sempre di più a una guerra per le risorse. Secondo un report pubblicato il 9 luglio, lo Stato islamico ha iniziato a estrarre autonomamente greggio da uno o due giacimenti a sud di Kirkuk, nel nord-est del paese. I due pozzi si trovano sui monti Hamrin, ai confini della regione a dominio curdo, e hanno dimensioni ridotte, ma sono sufficienti per produrre circa 16-20 mila barili al giorno, quotati sul mercato nero a 55 dollari l’uno. Secondo l’Iraq Oil Report, il greggio è trafugato dai monti Hamrin verso il Kurdistan su autocisterne da 160 barili l’una. Le autocisterne passano per Tuz Khurmatu, una cittadina con un’ampia minoranza turcomanna che negli scorsi anni è stata al centro di tensioni etniche. Il sindaco di Tuz Khurmatu, Shallal Abdul Baban, da giorni denuncia il passaggio del petrolio dello Stato islamico attraverso la sua città: “Isis ha iniziato il trasporto di 100 autocisterne piene di greggio”, diceva una settimana fa in un comunicato ai media locali. Secondo il sindaco lo Stato islamico vende il contenuto delle autocisterne a 12-14 mila dollari ciascuna, una cifra che conferma le stime fatte dall’Iraq Oil Report. Da Tuz Khurmatu, le autocisterne si dirigono verso la raffineria di Sulaimaniya, nella regione del Kurdistan, e da lì il prodotto finito è venduto sul mercato nero a circa 108 dollari al barile. Da settimane le autorità curde danno la caccia ai contrabbandieri che cercano di fare uscire le autocisterne di petrolio raffinato dai confini del paese, ma il margine di guadagno è tale da invogliare gli autisti a correre il rischio.
Lo Stato islamico non è nuovo al commercio illegale di petrolio. La strada verso il Califfato, la cui istituzione è stata annunciata una settimana fa dal capo del gruppo terroristico Abu Bakr al Baghdadi durante un sermone nella moschea di Mosul, la seconda città più grande del paese, passa anche per un’attenta gestione finanziaria. Dopo la conquista di Mosul lo Stato islamico si è impossessato della Banca centrale della città e si è appropriato di lingotti e di circa 425 milioni di dollari in contanti. Questo basterebbe per trasformarlo in uno dei gruppi terroristici più ricchi del mondo (e l’unico in grado di autofinanziarsi per intero), ma il vero business è il petrolio. In Siria, dove si è sviluppato e ha affinato le sue strategie di guerra e di finanziamento, lo Stato islamico controlla le zone petrolifere di Raqqa e di Deir al Zor, e all’inizio di luglio ha conquistato il giacimento di al Omar, il più grande del paese. Tra i maggiori compratori del petrolio di al Baghdadi (lo sostiene l’Amministrazione americana), c’è il regime di Damasco di Bashar el Assad, contro cui lo Stato islamico dovrebbe essere in guerra – da tempo tuttavia i ribelli dell’Esercito libero accusano il regime di risparmiare lo Stato islamico dai bombardamenti più feroci e di aiutarne l’ascesa per potersi presentare all’opinione pubblica internazionale come l’unica alternativa all’estremismo jihadista. L’Iraq Oil Report non dice chi sono i compratori del petrolio contrabbandato dall’Iraq, ma secondo il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius il destinatario potrebbe essere ancora Assad: “Abbiamo prove che lo Stato islamico si è impossessato del petrolio (iracheno, ndr) e lo ha venduto al regime di Assad”, ha detto qualche giorno fa.
Il petrolio che lo Stato islamico estrae in Siria e in Iraq passa per la regione a nord controllata dai curdi, che in Iraq hanno siglato con il governo della Turchia un accordo per vendere autonomamente il petrolio estratto nelle loro regioni. Ieri la delegazione curda al Parlamento di Baghdad si è ritirata dal governo del premier iracheno Nouri al Maliki, mentre a nord del paese i peshmerga si impossessavano di alcuni giacimenti a Kirkuk e a Bai Hassan.
[**Video_box_2**]Il pilastro economico del Califfato
La conquista dei pozzi petroliferi da parte dello Stato islamico in Iraq e Siria fa parte di una strategia precisa per la fondazione delle basi economiche del Califfato. Nel suo movimento di espansione il gruppo mira esplicitamente ai giacimenti e alle infrastrutture petrolifere, e sul sito del Washington Post Ariel Ahram nota che il gruppo si sta impossessando anche delle risorse d’acqua e delle infrastrutture idriche. Questo sta trasformando il conflitto in Iraq in una guerra (anche) per le risorse. In Siria il gruppo domina e gestisce con efficienza giacimenti di gas naturale e risorse minerarie, e sta assumendo la struttura di un’entità statale. E’ un indizio del fatto che lo Stato islamico si sta preparando a restare.
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