Matteo Renzi (foto LaPresse)

Rischio di auto commissariamento

Redazione

Il tema più insistito nella critica a Matteo Renzi che serpeggia con più insistenza nella grande stampa verte su una sorta di contrapposizione tra l’impeto e il metodo, il primo sarebbe eccessivo, il secondo insufficiente.

Il tema più insistito nella critica a Matteo Renzi che serpeggia con più insistenza nella grande stampa verte su una sorta di contrapposizione tra l’impeto e il metodo, il primo sarebbe eccessivo, il secondo insufficiente. Per quel che riguarda la situazione interna, in cui Renzi non ha oggi veri avversari, solo un po’ di frenatori e di sabotatori, comunque subalterni, non sembra che i pur reali difetti nel raccordo temporale delle iniziative di riforma possano procurare guai che superino quelli, in sostanza scontati, di qualche ritardo e di qualche pasticcio da sistemare in corso d’opera. Caso mai un discorso sul metodo, per così dire ma senza scomodare Cartesio, Renzi lo dovrebbe affrontare nella dimensione europea, dove ha a che fare con interlocutori e competitori dotati di forza e di esperienza ragguardevoli. La partita che si gioca è quella della emancipazione dal commissariamento (o dall’auto commissariamento se si preferisce) che era la condizione di fatto accettata dai suoi due predecessori a palazzo Chigi. Non si è trattato di un’inclinazione alla subalternità personale, ma di una sorta di applicazione di una teoria politica che risale addirittura a Beniamino Andreatta, che sosteneva apertamente che l’Italia può essere indotta a comportamenti virtuosi e a riforme che spezzino l’intreccio conservatore tra corporazioni e burocrazie solo per una pressione esterna incontenibile. Mario Monti ed Enrico Letta hanno cercato, senza successo, di applicare questa dottrina, ma gli interlocutori europei, soprattutto quelli legati alla leadership tedesca, faticano ad accettare l’idea che ora le cose hanno preso, per usare un’espressione cara al premier, un altro verso.

 

Per dare sostanza alla sua rivendicazione sacrosanta di pari dignità dell’Italia nell’ambito di una corresponsabilità europea non più così vistosamente asimmetrica, Renzi ha puntato sulla richiesta di “flessibilità” nell’interpretazione delle regole finanziarie e sulla rivendicazione del ruolo di Alto rappresentante dell’Unione per l’attuale titolare della Farnesina. Sul primo obiettivo, quello della flessibilità, concetto di per sé assai generico, ha ottenuto solo qualche frase nei comunicati e molte reprimende nei commenti, sul secondo, il cambio di poltrona per Federica Mogherini, si è trovato di fronte a un rinvio e all’evocazione di candidature alternative, che alludono in sostanza a una riproposizione del commissariamento. Per valutare se l’impeto, per la verità assai frenato, di Renzi in Europa sia adeguato all’ambiente, bisognerà aspettare i risultati finali sulle due questioni che ha posto. Quello che va capito, però, non è se si è adottato un metodo razionale, ma se si sono costruite le alleanze e le relazioni necessarie, il che non si può ancora comprendere, perché i colloqui europei, che sono cose serie, non vanno in streaming.   

 

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