Un premier a sei zampe
Meno male che la politica estera di Renzi è anche quella dell’Eni. Non c’è da meravigliarsi se la politica estera renziana segue le direttrici dell’Eni, come denuncia il Fatto secondo la regola di Marco Travaglio che se non ci sono scandali vanno inventati.
Matteo Renzi, tornato dalla tre giorni in Africa Centrale (Mozambico, Congo e Angola) ha sottolineato con puntiglio come l’aumento dell’export italiano sia stato nel 2013 superiore a quello della Germania: del 4,9 per cento rispetto al 4,8 “mentre la Francia è sotto al tre”. Trattandosi dell’anno scorso non può farne merito al suo governo, ma è certo che il premier intende migliorare queste performance. Soprattutto sul fronte strategico degli approvvigionamenti di energia, dove l’Italia ha una dipendenza dall’estero dell’80,8 per cento, quinto paese europeo dopo Malta, Lussemburgo, Cipro e Irlanda, rispetto a una media europea del 53,4. Non solo. Le due maggiori aree fornitrici, Russia e Africa maghrebina (Algeria soprattutto per il gas, Libia per il petrolio) sono entrambe instabili. Per non parlare del greggio iracheno, sottoposto alla minaccia del Califfato sunnita. Dunque non c’è da meravigliarsi se la politica estera renziana segue le direttrici dell’Eni, come tanto per cambiare denuncia il Fatto (titolo di ieri: “Renzi l’Africano fa felici l’Eni e le coop rosse”), secondo la regola di Marco Travaglio che se non ci sono scandali vanno inventati.
Il viaggio di Renzi in Mozambico, così come l’enfasi alla visita in Italia del presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev, sono in realtà retaggi del governo di Enrico Letta che ad agosto 2013 volò a Baku per discutere del gasdotto Tap (Trans adriatic pipeline) che dovrebbe collegare i grandi giacimenti del Caspio con la Puglia e lì agganciarsi alla rete italiana ed europea. L’Azerbaigian è già il quarto fornitore di petrolio: con il gas la dipendenza energetica complessiva da Russia, nord Africa e medio oriente si ridurrebbe sensibilmente. Dunque benché queste missioni siano state propiziate dal governo del cacciavite, esse sono le prime a carattere strategico da quando Renzi ha rinnovato i vertici degli enti pubblici, tra i quali anche l’Eni. Dove il nuovo capo azienda Claudio Descalzi sembra voler allargare e rinnovare il raggio d’azione del predecessore Paolo Scaroni. Descalzi è stato, in èra Scaroni (con il quale aveva un ottimo rapporto), l’uomo delle trivellazioni e delle grandi scoperte di giacimenti, tra i quali quello del Mozambico del 2011, il maggiore della storia del Cane a sei zampe. Si tratta di petrolio e gas nell’oceano Indiano che, secondo Renzi, “possono garantirci forniture per 30 anni”, mentre aziende italiane – capofila la Bonatti di Parma – se ne sono aggiudicate la manutenzione. Anche il Caspio, attraverso il Tap, è destinato al ruolo di fornitore privilegiato diversificando le fonti attuali.
Sennonché lo sbocco italiano del gasdotto previsto tra un anno è osteggiato dalla sinistra radicale (in Puglia Nichi Vendola ha ancora voce in capitolo) e dagli ambientalisti estremisti. La regione ne ha bocciato l’impatto ambientale e si sono costituiti movimenti civici animati dai grillini. Dunque anche se non si scava e non si trivella in Italia, c’è chi ce la mette tutta per bloccare i progetti. Come le perforazioni nell’Adriatico (che invece vengono approvate con decisione da Croazia, Grecia e Montenegro). O al largo della Sicilia, dove la giunta di Rosario Crocetta prima dice sì poi ci ripensa. Per non parlare dell’eterna questione del petrolio della Basilicata, destinato a restare sottoterra. Nel frattempo si organizza lo sciopero generale a Gela – alfiere Susanna Camusso della Cgil – contro un presunto ridimensionamento del petrolchimico smentito dall’Eni (vedi articolo in pagina). E intanto i raffinatori italiani, dai Moratti ai Garrone, cedono gli impianti agli stranieri. Pare insomma che la sinistra italiana, sindacale, mediatica e anche in parte politica, continui a considerare quella energetica come una faccenda brutta, sporca e cattiva: dopo avere sabotato il nucleare e sponsorizzato le fonti “verdi” (pagate a caro prezzo dai consumatori di energia tradizionale), preferisce non curarsi di dove e come si vanno a cercare e si portano qui gas e petrolio necessari a caricare i tablet, oltre che a far funzionare le fabbriche. Ai tempi di Berlusconi sollevavano sospetti ridicoli e ilarità inutili sulle frequentazioni della dacia di Putin – mentre la Germania inaugurava con Angela Merkel il gasdotto Nord Stream, del quale è presidente Gerhard Schröder. E nei salotti chic il petrolio veniva demonizzato per la partecipazione alla guerra in Iraq e la strage di Nassiriya. Ora Barack Obama si fa ambasciatore mondiale dello shale gas, e a Londra s’avanza l’idea di privatizzare le riserve di idrocarburi. Mentre tornando a casa nostra, si producono da decenni film e fiction “di sinistra” su quel grande petroliere che fu Enrico Mattei, il fondatore dell’Eni. E’ il momento che Renzi rottami tutti questi modi di agire e di pensare. Pur di aggiungere a piedi e mani altre due zampe.
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