La libertà religiosa ipocrita di Obama
L’America di Obama non opprime la libertà religiosa con l’Ak-47 o il machete, ma più surrettiziamente ne ridisegna i confini attraverso leggi controfirmate in nome della postmoderna crociata per l’uguaglianza dei diritti. Costringendo gli istituti di ispirazione religiosa a violare la propria fede offrendo contraccettivi e farmaci abortivi ai loro dipendenti, il governo ha decretato che la libertà religiosa coincide con la libertà di culto.
Non si può che condividere il tono grave che i funzionari dell’Amministrazione Obama hanno esibito alla presentazione dell’annuale report sulla libertà religiosa. Mai come nel 2013 tante persone nel mondo hanno dovuto abbandonare la loro terra a causa della fede. Più di un milione di cristiani è stato costretto all’esodo, le violenze fra buddisti e musulmani sono in crescita, decine di minoranze sono senza diritti, regimi paranoici impediscono qualsiasi forma di espressione religiosa, ci sono chiese che vivono in clandestinità, sacerdoti condannati a morte, bande armate pronte a trucidare chi non aderisce alla loro fede. Il martirio non è una reliquia dell’antichità. La cacciata dei cristiani di Mosul è una testimonianza tragicamente potente di un trend che il governo americano inquadra con spirito analitico, dalla Nigeria alla Russia fino alle preoccupanti recrudescenze antisemite in Europa. C’è però un che di ipocrita nella denuncia dell’intolleranza da parte di un governo che ha instaurato un rapporto ambiguo con la libertà religiosa.
L’America di Obama non opprime la libertà religiosa con l’Ak-47 o il machete, questo è appena ovvio, ma più surrettiziamente ne ridisegna i confini attraverso leggi controfirmate in nome della postmoderna crociata per l’uguaglianza dei diritti. Costringendo gli istituti di ispirazione religiosa – università, scuole, ospedali ecc. – a violare la propria fede offrendo contraccettivi e farmaci abortivi ai loro dipendenti, il governo ha decretato che la libertà religiosa coincide con la libertà di culto. Vale nelle chiese, nelle sagrestie, nei templi, è un diritto inalienabile se rimane sigillata nel fondo delle coscienze pie, ma guai a legittimarne la presenza in società. Guai a insinuare che la fede ha delle conseguenze. “Dio, se c’è, non c’entra”, diceva Cornelio Fabro, descrivendo una tendenza della modernità che Obama ha portato al livello della legge. C’è voluta una sentenza liberale della Corte suprema sul caso Hobby Lobby per restaurare, almeno per ora, una concezione di libertà religiosa un po’ meno angusta di quella vidimata dal governo. Lo stesso governo che depreca le aberrazioni in nome della fede commesse dagli altri, mentre nomina ambasciatore per la libertà religiosa il rabbino David Nathan Saperstein, attivista pro choice che ha definito la sentenza della Corte “profondamente preoccupante.”
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