Renato Brunetta (foto LaPresse)

Tagliare, vendere, fare

Redazione

Renato Brunetta, che accusa il governo di essere in stato confusionale, forse esagera nella sua nota verve accademico-polemica, ma mette in evidenza un dato oggettivo: le previsioni di crescita sono state eccessive.

Renato Brunetta, che accusa il governo di essere in stato confusionale, forse esagera nella sua nota verve accademico-polemica, ma mette in evidenza un dato oggettivo: le previsioni di crescita sono state eccessive e non si capisce per ora in che modo l’esecutivo intenda rispondere al rischio ormai concretissimo di ritorno alla stagnazione. Qualcosa è stato fatto, a cominciare dalle modeste ma efficaci prime misure di flessibilizzazione del mercato del lavoro, cui si deve la contenuta ma reale crescita stagionale dell’occupazione. Qualcosa è in cantiere, come il provvedimento per far ripartire un certo numero di opere pubbliche presentato ieri.

 

Sono iniziative che cercano di promuovere occupazione anche in assenza di crescita produttiva, e nella situazione data sono quel che ci vuole. Ma sono iniziative che rispondono all’emergenza immediata, assieme alle quali è necessario preparare azioni di più ampio respiro che non possono che consistere in un allentamento del cappio fiscale che strangola l’economia italiana.

 

Per ridurre le tasse, si sa, bisogna ridurre le spese. Ma per farlo seriamente non si possono escludere i tre grandi comparti di spesa: pubblico impiego, previdenza e Sanità. E’ un problema politico colossale, che non può essere ridotto a uno scambio di battute tra un tecnico e il premier. Elsa Fornero aveva avuto il coraggio di tagliare sulla previdenza, ma ora si va in direzione opposta, e partendo dalla questione dei cosiddetti esodati si ricostruisce in pratica una nuova massa di prepensionati.

 

E’ il segno di una fatica a operare in direzione liberista da parte di una maggioranza che si era presentata alle elezioni con candidati scelti da Pier Luigi Bersani e in alleanza con Nichi Vendola. Poi si sono trovati Matteo Renzi, ma non basta. Così è utile la pressione liberista che viene dal centrodestra, interno ed esterno alla maggioranza, ma in ogni caso il taglio della spesa resta arduo ed è difficile che possa produrre effetti compensativi della mancata crescita già nell’anno in corso. Resta la risorsa della dismissione di beni pubblici, che viene rallentata e sabotata dalla burocrazia e dalle amministrazioni a tutti i livelli, ma che è l’unico strumento in grado di ottenere due risultati immediati, ridurre il debito pubblico e convincere i mercati internazionali che l’Italia fa sul serio, il che avrebbe effetti positivi con la riduzione del costo del servizio del debito (il famoso spread).

 

Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan sanno benissimo che le cose stanno così, che ormai debbono guardare negli occhi il drago della stagnazione e decidere come combatterlo, sia con misure immediate sia con strategie di respiro. Più tempo perderanno a girarci attorno con battute più o meno felici, più sarà difficile poi vincere le formidabili resistenze che si oppongono alla riduzione reale del patrimonio e della spesa pubblici.