Se ammazzano un generale a Kabul
Il ritiro non ha funzionato in Iraq, l’Afghanistan promette peggio.
Una cerimonia dentro un’accademia militare a Kabul, in Afghanistan, alla presenza di alti ufficiali stranieri. Un soldato con la divisa dell’esercito nazionale afghano apre il fuoco all’improvviso sulla fila degli ospiti, uccide un generale americano a due stelle, ferisce almeno altri quattordici ufficiali, fra cui un comandante tedesco. Di solito in gergo militare questo tipo di attacchi sono definiti “green on blue”, quando un alleato (“green”) attacca la tua parte (“blue”), e sono diventati così frequenti da essere la prima causa di morte per le truppe del contingente Isaf. Questa volta però è accaduto nel mezzo di una presunta bolla di sicurezza, non sul fronte o in qualche avamposto isolato vicino al territorio controllato dai talebani. Il generale americano, di cui il Pentagono non ha ancora diffuso il nome al momento in cui questo giornale va in stampa, è la vittima più alta in grado dai tempi della guerra in Vietnam, e anche allora i generali non morivano a raffiche di mitra, ma perché gli elicotteri su cui viaggiavano erano abbattuti.
Questo attentato all’Università della difesa nazionale maresciallo Fahim accompagna con tragica perfezione la domanda che da due mesi si pongono gli osservatori di politica estera: se il ritiro americano dall’Iraq è stato prematuro e ha spalancato la porta al Califfato di Mosul (assieme ad altri fattori, come la rivoluzione incompiuta contro Bashar el Assad), cosa accadrà dopo il ritiro americano dall’Afghanistan? Il disimpegno è stato annunciato con così tanto anticipo e con tanta certezza che tutta la guerra tra guerriglieri talebani e governo centrale di Kabul si è trasformata in un gioco di attese, interrotto da episodi di violenza spettacolare come quello di ieri. Se l’Iraq è scivolato indietro sulla rampa della violenza settaria e fanatica, come se non avesse mai toccato la stabilizzazione, è facile prevedere che il ritiro quasi totale della missione a guida americana dall’Afghanistan non sarà la fine della guerra: sarà l’inizio della guerra vera. Con il rischio che i “red”, i nemici talebani non più camuffati, arrivino a Kabul.
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