Non crederete mai a cosa ha fatto Erdogan per le elezioni di oggi
La campagna elettorale del premier turco tra gol, cortometraggi epici e manifesti grandi come palazzi. Secondo i sondaggi potrebbe essere eletto presidente già al primo turno.
Recep Tayyip Erdogan con maglietta e calzoncini arancioni, divisa numero 12, perché quando sarà eletto alle presidenziali di domani diventerà il dodicesimo presidente della Turchia, gioca la partita inaugurale dello stadio Basaksehir di Istanbul. Segna tre gol in quindici minuti contro giocatori professionisti, poi si fa sostituire tra le urla eccitate dello speaker. Erdogan con kefiah al collo, al Parlamento di Ankara, paragona Israele al Terzo Reich hitleriano, e dice che la guerra di Gaza è peggio della Shoah. Erdogan stampato sui manifesti elettorali in tutta la Turchia, così grandi che coprono per intero le facciate dei palazzi: in alcune città non ci sono altri manifesti che i suoi. Erdogan come protagonista di un cortometraggio epico: spalanca i cancelli del palazzo di Çankaya e porta il popolo turco dentro la sede della presidenza. Erdogan contro una giornalista dell’Economist, la chiama “femmina militante svergognata” durante una conferenza stampa e le dice di “stare al suo posto”.
La campagna elettorale del premier turco, che da settimane gira per il paese, tiene comizi ed eventi promozionali (sono mancati solo gli ologrammi giganti, quelli li ha usati nella campagna per le elezioni locali in primavera, vinte con quasi il 43 per cento dei consensi), è sopra le righe quanto quella del suo principale avversario per la carica di presidente è incolore. Ekmeleddin Ihsanoglu è un accademico e diplomatico di alto profilo. E’ un islamico moderato, ma è sostenuto dal Chp, il partito kemalista, e dall’Mhp, il partito nazionalista, entrambi ferocemente secolari, e questo dice molto su come il sunnita Erdogan abbia plasmato la politica turca negli ultimi dieci anni. Della sua campagna elettorale ci si ricorda il simbolo, un modellino della Turchia color ocra che tutti hanno paragonato a una grossa forma di pane (il simbolo di Erdogan è ricalcato su quello della campagna elettorale di Barack Obama), i frequenti problemi tecnici, e un sondaggio secondo cui appena un mese fa solo il 32 per cento dei turchi (secondo un altro sondaggio il 24) conosceva il suo nome.
Secondo un sondaggio Gallup pubblicato a due giorni dalle elezioni, il 59 per cento dei turchi approva l’operato di Erdogan come primo ministro. Se questi dati dovessero riportarsi al risultato elettorale di domani, Erdogan potrebbe essere eletto presidente già al primo turno (l’eventuale ballottaggio è il 24 agosto), e questo sarebbe un risultato notevole, non solo perché un’elezione oceanica gli darebbe la forza per spingere le riforme costituzionali necessarie per dare più poteri alla carica di presidente, a oggi quasi solo onorifica. Vincere al primo turno vorrebbe dire che Erdogan è riuscito a mantenere quasi intatto il suo consenso nonostante l’anno più terribile di tutta la sua carriera politica, quello delle proteste (e della repressione brutale) di piazza Taksim, della faida intra islamica con l’imam Fethullah Gülen, delle intercettazioni che accusavano il premier di corruzione, delle purghe dentro ai ranghi dello stato, del naufragio del progetto di egemonia benevola della Turchia sul medio oriente.
Per ottenere questo risultato, Erdogan ha pagato dei costi politici enormi. Ha censurato internet e la stampa, ha dato adito ai peggiori populismi e complottismi (le terrificanti dichiarazioni antisemite dello scorso mese sono l’ultimo esempio), ha polarizzato il discorso politico tra i suoi sostenitori e i nemici della Turchia (della “nuova Turchia”, come dice il suo slogan elettorale). Businessweek scrive che in Turchia è in corso un processo di “putinizzazione”, un passaggio da leader forte a capo autocratico, che potrebbe peggiorare dopo le elezioni. Erdogan non ha avversari credibili in campo, l’unico che avrebbe potuto contrastarlo, l’attuale presidente Abdullah Gül, vecchio amico e rivale del premier, ha rinunciato a correre per un secondo mandato più di un mese fa.
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