Nouri al Maliki (Foto Ap)

Grosso guaio nella Zona verde

Redazione

Obama preme per un regime change, Maliki non vuole andare via.

Roma. Il presidente Barack Obama ha detto a giugno che l’America non interverrà con la sua forza militare in Iraq fino a quando a Baghdad non ci sarà un nuovo governo, più inclusivo (che dovrà quindi tenere conto delle richieste di tutte le minoranze, curdi, sunniti, yazidi ecc. più di quanto ha fatto nel passato). Le cose si sono complicate due giorni fa, quando il primo ministro Nouri al Maliki, che è considerato il responsabile dei problemi dell’Iraq (per colpa del suo autoritarismo molti sunniti parteggiano per lo Stato islamico) ha rifiutato di lasciare il suo posto. Ieri molti compagni di partito di Maliki, e gli altri schieramenti, hanno votato la nomina a primo ministro di Haider al Abadi. In teoria il nome scelto doveva ridurre gli scossoni della transizione al minimo, dopo otto anni di potere ininterrotto: Al Abadi è sciita come Maliki e appartiene al suo stesso partito Dawa. In pratica il primo ministro ha reagito ordinando alle forze speciali – che fanno capo a lui –  di sigillare la Zona verde (è la zona fortificata sede delle istituzioni irachene) anche con i carri armati. Le dimissioni di Maliki sono state orchestrate dal grande sponsor della politica sciita in Iraq (e quindi di tutta la politica in Iraq), che è il governo iraniano, e sono approvate dal governo americano, stanco delle brutalità del primo ministro che scatena le reazioni sunnite. Ma il piano sta fallendo, o perlomeno è entrato in una fase pericolosa di stallo. Come se già non bastassero l’avanzata dello Stato islamico e la generale anemia dell’esercito iracheno, che per ora si è dimostrato incapace di resistere al Califfato e ai gruppi alleati. Obama ha chiesto alla politica irachena un test di affidabilità, per tornare a combattere il nemico comune, ma da Baghdad per ora arriva la notizia di un fallimento.

 

Secondo il Daily Beast (a volte affidabile, altre no) Obama sta premendo per un regime change incruento in Iraq fin da giugno e il suo candidato preferito è stato proprio Abadi fin dall’inizio. Il segretario di stato, John Kerry, ieri ha ribadito che Washington si aspetta che Maliki lasci l’incarico.

 

Il giornalista Steve Coll – esperto del medio oriente e autore di un libro monumentale su al Qaida – sul New Yorker fa notare un paradosso della politica obamiana, che spesso è costretta a compiere piroette dettate dall’emergenza. Da ieri Washington si schiera anche con rifornimenti di armi dalla parte dei curdi, per appoggiarli nella lotta contro lo Stato islamico. Ma i curdi aspirano a creare uno stato petrolifero completamente staccato e indipendente da Baghdad. Allo stesso tempo Washington vuole un nuovo governo centrale e sovrano che ascolti le istanze di tutti. Insomma, sta desiderando due obiettivi opposti tra loro. Tra il rischio di un colpo di stato atipico a Baghdad, quello di Maliki per restare, e il separatismo curdo, gli uomini di Abu Bakr al Baghdadi continuano a espandere i confini del Califfato.