Il premier Matteo Renzi (Foto Lapresse)

Il premier eurointemperante

Redazione

L’esagerata reazione a un’altra buona idea europeista di Draghi

Con due interviste gemelle, alla Stampa e al Financial Times, il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha rivendicato l’autonomia del governo dalle incursioni esterne. Le riforme si decidono a Palazzo Chigi, non vengono commissionate dalla Troika o da qualche tecnostruttura brussellese, né tanto meno dalla Banca centrale europea. “L’Italia non ha bisogno di qualcuno che le spieghi cosa fare”, ha detto al quotidiano della City. E’ comprensibile che Renzi rivendichi il primato della politica, specie se questa si è candidata a incarnare una rupture rispetto al “discussionismo” che l’aveva ammorbata finora. Ma per quanto sia forte la pressione della stampa e dell’establishment sul suo governo – cui s’addossa l’accusa strumentale di aver fatto deragliare l’economia in recessione – il giovane premier ha scelto tempo e argomenti non del tutto condivisibili per reagire alle dichiarazioni di Mario Draghi, producendo una “overreaction”. Giovedì scorso, rispondendo a una domanda sull’evoluzione del ruolo della Bce durante la crisi dell’eurodebito, Draghi non ha affatto intimato il commissariamento coatto dell’Italia, come impropriamente riferito da parte dei media nazionali. Semmai il banchiere centrale s’è rivolto a tutti i paesi membri dell’Eurozona sollecitando i governi a replicare  il “successo” della “condivisione delle politiche fiscali e di bilancio” ed estenderlo “all’ambito delle riforme strutturali” sotto una “disciplina comune”, una regia europea. Ciò significa “condividere (cedere) sovranità” per raggiungere l’obiettivo urgente di riformare il mercato dei capitali o quello del lavoro, dove serve, e insieme ambire a rafforzare “un’unione monetaria rimasta incompleta”.

 

L’esortazione di Draghi non è nuova: aveva parlato di una “governance comune per le riforme” già a luglio da Londra. Il ragionamento è lineare: se la Finlandia è terza economia al mondo per competitività mentre la Grecia resta 91esima, ridurre tale squilibrio risulta vitale per l’Europa intera. La tanto temuta cessione di sovranità è soltanto un danno collaterale inevitabile.  Sulla forma si potrà discutere: intanto Draghi ha lanciato un sasso dall’Eurotower, il solo avamposto europeo credibile per i mercati. Se Renzi ancora crede a quanto disse in campagna elettorale, e cioè che “solo le idee possono salvare l’Europa, non le limitazioni”, e che i cavilli rigoristi eretti a totem in quel di Berlino sono cose per “i feticisti dei numeri”, allora prenda le considerazioni di Draghi per quello che sono. Non delle reprimende, ma un’utile carta per riformare il paese e comprendere se le leadership nordiche saranno davvero disposte – come dicono a parole da anni – a lasciarsi alle spalle l’Europa dei ragionieri. E a intraprendere anche loro, sotto una regia comune, una strategia di aggiustamento più equilibrata.