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L'anomìa è solo eterologa

Redazione

La sospetta corsa dei legalisti su tutto sulla fecondazione sine lege

Se ne discute da giorni, la cosa si fa anche un po’ stucchevole, ma una consapevolezza emerge. Dopo la decisione della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittima la proibizione della fecondazione eterologa, la gara che si è aperta a realizzare il più in fretta possibile le condizioni per accedere a questa pratica, senza voler attendere regolamenti e protocolli, norme che il governo ritiene indispensabili e che devono essere contenute in una legge, ha qualcosa di paradossale. Proprio contro la scelta di passare per una decisione parlamentare invece di agire in via regolamentare o per decreto si registrano le proteste di tutti coloro che, in generale, contestano all’esecutivo un eccesso di decisionismo. Ma non solo. L’Italia è il paese con più leggi, almeno cinque volte più numerose di quelle tedesche, per esempio. Tutti i cittadini sanno che non si può fare quasi niente senza un’autorizzazione, una licenza, una qualche esibizione di potere delle burocrazie e delle amministrazioni. Solo per la fecondazione eterologa, invece, si vorrebbe la più completa anomìa, come se questa pratica non presentasse problemi concreti che debbano essere in qualche modo normati. Per non parlare del famigerato “principio di precauzione”, il totem universale atto a bloccare qualsiasi innovazione scientifica, dal mais ogm all’impiego di nuovi farmaci di natura genetica, perché la cosa “può far male” e allora tocca ai garanti della salute pubblica sorvegliare, giudicare, e se possibile punire. Ma non per la fecondazione eterologa, evidentemente rimedio perfetto e atteso con l’urgenza di un farmaco salvavita. Curiosa amnesia dei legalisti di professione.

 

Senza contare che esiste, infine, anche una normativa europea, che naturalmente l’Italia non aveva recepito finché la pratica risultava vietata, ma che ora andrà applicata. Persino le associazioni ginecologiche più attive nella richiesta di “liberalizzazione” ora chiedono che ci sia omogeneità in tutte le regioni nell’esercizio di questo nuovo “diritto” riconosciuto dalla Consulta, anche per ovviare alla solita confusione istituzionale tra le regioni e tra queste e lo stato. Il presidente del Piemonte, Sergio Chiamparino, si è distinto da questa rincorsa con la richiesta di una normativa nazionale, ma la sua è una (lodevole) eccezione che conferma la regola. Nonostante l’opinione discutibile del presidente della consulta Tesauro che considera la sentenza tale da costituire un sostituto valido della legge, una forma ragionevole di regolamentazione dovrebbe essere interpretata come un principio di precauzione.