Il Papa: "Giusto fermare l'oppressione delle minoranze in Iraq"
Il pontefice di ritorno dalla Corea. "La preghiera con Abu Mazen e Peres in Vaticano non è stata un fallimento". E parla di terza guerra mondiale.
"Oggi siamo in guerra dappertutto. Qualcuno mi ha detto che viviamo la terza guerra mondiale ma a pezzi". Papa Francesco, parlando con i cronisti in aereo ritornando dalla visita in Corea, ha espresso la propria preoccupazione per la perdita della coscienza del male che sembra emergere dall'indifferenza con la quale si assiste agli abomini che sempre accompagnano i conflitti. "Il mondo - rileva con tristezza - è in guerra e si fanno queste crudeltà. Oggi i bambini non contano. Una volta si parlava di una guerra convenzionale. Ma oggi una bomba ammazza l'innocente col colpevole, colpisce il bambino con la mamma invece degli obiettivi militari".
"Lei vuole sapere se io ho voglia di andare in Cina? Ma sicuro, mi piacerebbe andarci già domani. La Santa Sede è sempre aperta ai contatti con Pechino: perché ha grande stima e rispetto per il popolo cinese", ha aggiunto il ponetfice a chi gli chiedeva se avesse accettato o meno un invito proveniente dalla Cina.
Bergoglio ha poi ammesso di aver pensato di recarsi in Kurdistan per dare il suo sostegno alle popolazioni cristiane e non in fuga dalle città dell'Iraq. Il viaggio avrebbe dovuto realizzarsi proprio in questi giorni, cioè al rientro dalla Corea. Il desiderio di Francesco era quello di far sentire la propria vicinanza a tutte le persone perché, spiega ai giornalisti nel volo di rientro da Seul, "ci sono i cristiani martiri, ma qui ci sono uomini e donne che soffrono, non solo i cristiani, e tutti sono uguali davanti a Dio".
"Quando con i miei collaboratori abbiamo saputo quello che stava accadendo, con le minoranze religiose scacciate e il problema del Kurdistan che non poteva ricevere tanta gente, abbiamo pensato - racconta il Pontefice - a tante cose. Tra queste, prima di tutto abbiamo fatto una dichiarazione: l'ha diffusa padre Lombardi a nome mio. Poi abbiamo inviato questo testo ai nunzi apostolici perché la facessero avere ai governi. Quindi abbiamo scritto la lettera al segretario Generale dell'Onu. Alla fine abbiamo deciso di mandare un inviato personale, il cardinale Filoni, e se fosse necessario, quando torniamo dalla Corea, andare li'. Mi hanno detto che in questo momento però non è la cosa migliore da fare, ma - conclude - io sono disposto a questo".
"Quando c'è una ingiusta aggressione, è lecito fermare l'aggressore ingiusto. Fermare solo, però: non dico bombardare, fare guerra. I mezzi debbono essere valutati". Sull'aereo che lo riporta a Roma da Seul, Papa Francesco risponde così alla domanda di un giornalista statunitense che gli chiede dei bombardamenti in atto sull'Iraq a difesa di minoranze, compresi quelle cristiane, che vengono massacrate.
Il pontefice è poi tornato sulla preghiera per la pace rivolta insieme ad Abu Mazen e Shimon Peres durante la loro visita del maggio scorso in Vaticano. "Quella preghiera assolutamente non è stata un fallimento", ha detto Bergoglio a chi gli chiedeva del conflitto tra Israele e Hamas. "L'iniziativa", ha ricordato il Papa, "non è uscita da me, ma dai due presidenti, l'israeliano Shimon Peres e il palestinese Abu Mazen, due credenti convinti".
"Volevamo - rivela Francesco - che l'incontro per pregare si realizzasse già durante la mia visita in Terra Santa ma non si trovava il posto giusto: il costo politico di andare dall'altro sarebbe stato troppo alto per ciascuno dei leader, e anche in nunziatura non era facile: il presidente palestinese avrebbe dovuto attraversare Israele". "Così - continua Francesco - abbiamo deciso di incontrarci tutti in Vaticano, invitando anche Bartolomeo, il patriarca ecumenico, non dico il capo dell'ortodossia perché sarebbe usare termini che forse non piacciono a tutti. Ma è stato bene ci fosse. Si deve pregare perché si segua la strada del negoziato", ha aggiunto Bergoglio.
"Certo - conclude Francesco accennando all'invasione di Gaza seguita all'uccisione dei tre ragazzi ebrei - poi è arrivato quel che è arrivato. Ma è qualcosa di congiunturale. L'incontro di preghiera non lo era: è stato un passo fondamentale perché si è aperta una porta. Il fumo delle bombe ora non lascia vedere la porta aperta. Ma io credo in Dio e credo che quella porta e' stata aperta".
Il Foglio sportivo - in corpore sano