La Troika si trova già a Vipiteno
Recessione, debito e zero riforme. L’Italia è a rischio commissariamento. Draghi suona la campanella di fine ricreazione: «Ceda sovranità». Una settimana di analisi sulla situazione economica italiana ed europea. Dal Foglio del lunedì.
Le riforme economiche rinviate in autunno, il Pil con il segno meno per il secondo trimestre consecutivo (che vuol dire recessione), il debito pubblico che tocca un nuovo record (99 miliardi in più dall’inizio dell’anno): il mondo ricomincia a mugugnare intorno all’Italia. Le banche d’affari estere invitano ad alleggerire i portafogli dai Btp, Moody’s ci vede in recessione per tutto il 2014 («con conseguenze pesanti sulla politica fiscale, sul clima politico e sui rapporti con i partner europei, soprattutto la Germania») e il presidente della Bce Draghi ci bacchetta per lo «scarso impegno» nel fare le riforme strutturali. Aggiungendo: è auspicabile che i paesi che non ce la fanno «cedano sovranità» all’Europa.
Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 12/8
Finiremo con la Troika? «No, no, assolutamente no» urla e aggiunge: «La prego, lo scriva a caratteri cubitali» (il ministro dell’Economia Padoan rispondendo al direttore del Sole 24 Ore Napoletano).
Roberto Napoletano, Il Sole 24 Ore 6/8
L’esperienza dovrebbe insegnare che Mario Draghi non parla a vanvera. E che le richieste della Bce raramente contemplano l’eventualità di un no. Per cui l’invito che i governi nazionali rinuncino alla propria sovranità sul fronte delle riforme economiche, oltre a essere una fondamentale novità, è soprattutto una bomba politica. In primo luogo per l’Italia ma anche per l’Europa nel suo complesso. Bonanni: «Si può stare certi che il nuovo corso europeo, segnato dalla Commissione di Jean-Claude Juncker, punterà sostanzialmente a togliere ai governi che non hanno saputo esercitarla la sovranità sulle riforme economiche e strutturali, così come l’Europa ha già tolto ai governi immeritevoli la sovranità sulla gestione dei bilanci».
Andrea Bonanni, la Repubblica 8/8
È la seconda volta che, in pieno agosto, Mario Draghi suona la campanella di fine ricreazione per il governo italiano. La prima fu da governatore della Banca d’Italia. Con la lettera-ultimatum che lui e Trichet spedirono a Berlusconi il 5 agosto del 2011. Ricordiamo tutti come andò a finire: il governo fece orecchie da mercante, lo spread impazzì e i rendimenti dei Btp decennali superarono il 7% (oggi sono sotto il 3). Berlusconi fu costretto alle dimissioni per scongiurare la bancarotta. Al tempo arrivò Mario Monti, oggi il commissariamento sarebbe completo.
Marco Palombi, il Fatto 13/8
Questa volta il presidente della Bce ha scelto modi e toni più morbidi e meno ufficiali, anche perché la situazione italiana appare meno disperata (la congiuntura favorevole dei mercati sta mantenendo i tassi di interesse bassi e dunque il paese per ora è in grado di sostenere l’enorme debito pubblico). Bonanni: «Ma la sostanza del messaggio di Draghi è in gran parte la stessa: fate le riforme, non scoraggiate gli investitori, rimediate alle inefficienze della burocrazia e della pubblica amministrazione. Manca la parte che riguarda il risanamento dei conti pubblici, visto che su questo fronte alcuni risultati sono stati ottenuti, anche se ora l’Europa teme che vengano rimessi in discussione. Ma sugli altri temi della governance economica la ripetizione delle stesse raccomandazioni che Bruxelles e Francoforte ci rinnovano con scadenza quasi mensile ci offre la misura di quanto poco siano riusciti a concludere tre governi in tre anni».
Andrea Bonanni, la Repubblica 8/8
Ma perché le riforme richieste, e promesse, non sono state fatte? La Bce sembra essere giunta alla conclusione che i fallimenti registrati in questi anni non siano dovuti a malafede ma all’incapacità del sistema politico italiano «di superare resistenze che si dimostrano più forti anche della volontà espressa da governi e maggioranze parlamentari» (Cannavò). Da qui la necessità di trasferire la sovranità politica a un livello che, travalicando i confini e i poteri nazionali, sia in grado di imporre le proprie scelte.
Salvatore Cannavò, il Fatto 9/8
E c’è chi si augura che a far questo in Italia arrivi la Troika, ovvero quella struttura mista Commissione Ue, Bce e Fondo monetario internazionale che, in cambio di prestiti, impone ai governi la sua ricetta politica. Eugenio Scalfari l’ha persino scritto in uno dei suoi editoriali domenicali: «Dirò un’amara verità che però corrisponde a mio parere a una realtà che è sotto gli occhi di tutti: forse l’Italia dovrebbe sottoporsi al controllo della Troika internazionale».
Eugenio Scalfari, la Repubblica 3/8
Sui giornali si legge dei «signori della Troika», riferendo dei tre dirigenti che formano il vertice della struttura. Certo, formalmente ne fanno parte anche i loro capi – Christine Lagarde, Mario Draghi, José Barroso e il responsabile degli Affari economici Jyrki Kaitanen – ma la Troika vera sono loro. Palombi: «Sono loro che sbarcano negli aeroporti coi vestiti neri, loro che parlano coi governi, loro che contrattano le condizioni per concedere i prestiti: loro sono Poul Thomsen, Klaus Masuch e Matthias Mors, un danese e due tedeschi. Il danese è Thomsen, al Fmi dal 1982, specializzato nell’area ex sovietica, è stato il principale artefice delle complicate trattative con la Grecia per la prima tranche di aiuti: la stampa di Atene lo chiamava “Mr blue eyes”. Masuch, invece, è l’incaricato della Bce: pallido, occhiali leggeri, lo stereotipo del funzionario. Mors è l’inviato della Commissione, che poi è anche il creditore più importante tra i tre: esile, basso di statura, affilato, viene dalla direzione Affari economici e finanziari».
Ma. Pa., il Fatto 13/8
Ma quanto è reale il rischio di un commissariamento europeo dell’Italia? Esistono due risposte: una formale e una sostanziale. La risposta formale è che, oggi, l’unico strumento di commissariamento previsto dalle norme europee è appunto quello della Troika. Che entra in azione solo qualora un paese faccia ricorso ai prestiti europei dell’Esm, il Fondo salva-Stati che ha finora dato soldi a Irlanda, Grecia, Portogallo e Cipro. La Spagna ha ricevuto un prestito dall’Esm, ma solo per salvare alcune banche private, e dunque non è stata sottoposta al «Memorandum».
Andrea Bonanni, la Repubblica 14/8
Ma non è che la Troika si presenti così e suoni al palazzo del governo: arriva su invito, a seguito di eventi che sono quasi sempre identici. Il paese X comincia ad avere difficoltà a finanziarsi sul mercato: gli investitori chiedono interessi troppo alti. È qui, quando il paese X teme di non poter pagare stipendi e pensioni, che arriva la Troika proponendo un bel prestito (notazione: i soldi non sono gratis ma concessi al ragguardevole interesse del 5,5%), sostenendo che il problema è il debito pubblico. Per avere i soldi, però, bisogna firmare un «Memorandum», ovvero una lista assai nutrita di cose da fare.
Marco Palombi, il Fatto 13/8
L’intervento della Troika poi non è stato uguale in tutti i paesi. In Irlanda e a Cipro, per esempio, che avevano un enorme buco finanziario aperto dalla crisi delle banche ma un’economia sostanzialmente sana, il direttorio europeo ha agito con mano relativamente leggera. In Grecia, invece, dove il dissesto era provocato oltre che dalla falsificazione dei conti pubblici anche da una cronica mancanza di competitività, ha agito con durezza esigendo tagli pesanti alla spesa pubblica e riforme sociali molto dolorose. Bonanni: «In entrambi i casi la cura ha funzionato. Ma il paziente greco ha rischiato seriamente di morire per la medicina somministratagli pagando un prezzo altissimo in termini sociali. E proprio questo potrebbe essere il caso dell’Italia, il cui problema principale, oltre all’enorme debito pubblico, è la scarsa competitività di un sistema-paese oppresso da una burocrazia tanto invadente quanto inetta».
Andrea Bonanni, la Repubblica 14/8
La richiesta di Draghi di una «cessione di sovranità» su materie di riforma economica costituisce dunque anche la risposta sostanziale alla domanda sul rischio di commissariamento dell’Italia. L’Italia deve dare garanzie ai partner europei che le riforme tante volte promesse verranno finalmente attuate. E queste garanzie devono essere concrete e verificabili. Come ottenere questo risultato senza ricorrere alla Troika? Bonanni: «La risposta potrebbe essere nei cosiddetti “accordi contrattuali”, che la Commissione e il Consiglio stanno studiando da tempo. In pratica, un governo firma un accordo specifico con Bruxelles in cui si impegna a realizzare riforme precise, dettagliate e cadenzate nel tempo (dall’approvazione delle norme alla loro attuazione concreta). E in cambio riceve dall’Europa l’autorizzazione a rinviare, per un periodo determinato, gli aggiustamenti di bilancio a cui sarebbe tenuto in base alle norme comuni».
Andrea Bonanni, la Repubblica 14/8
E c’è un ultimo dato da non sottovalutare. Adesso che si moltiplicano i sintomi di una ricaduta nella recessione dell’Eurozona e che anche i grandi paesi stanno scivolando verso la deflazione – la sua economia più importante, la Germania, ha registrato una contrazione dello 0,2% del Pil nel secondo trimestre, peggio del previsto, e una crescita zeropure per la Francia.
Tonia Mastrobuoni, La Stampa 14/8
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