Non dare i numeri
Piangere per la recessione e festeggiare Lady Spread? Serve a poco
Farsi prendere dall’enfasi per certi dati statistici, non solo economici, è uno sport nazionale. Chissà quanti s’agiteranno dopo avere avuto conferma dall’Ocse che l’Italia è in recessione tecnica (sì, ce l’aveva già detto l’Istat) e che tra i paesi più industrializzati e ricchi, quelli del G7, è l’unico a registrare una crescita negativa quando si confronta il pil del secondo trimestre di quest’anno con quello dell’anno prima: il solito zerovirgola, meno 0,3 per cento. I numeri dell’Ocse non dicono nulla di nuovo: l’Italia ristagna in un’Eurozona ferma, dove la Germania rallenta e la Francia resta in coma. Al contrario i paesi anglosassoni, Stati Uniti e soprattutto Gran Bretagna, crescono rapidamente: beneficiano delle iniezioni di liquidità pluriennali delle rispettive Banche centrali e la ripresa è consistente. La Bce è l’unico grande Istituto al mondo a non stampare moneta, promette di farlo e i mercati le credono.
Senza questo passaggio sarebbe complicato per gli intellò dei nostri stivali spiegare perché la Borsa gongola nonostante le “rivelazioni” dell’Ocse oppure perché Lady Spread resti quieta, quasi sedata: il differenziale tra Btp e Bund tedeschi è rimasto vicino ai 147 punti, sopra quota 143 toccata il 9 giugno, benché quel giorno i rendimenti di mercato dei Btp decennali fossero del 2,81 per cento, quaranta punti base più di ieri. A riprova che lo spread non vale una cicca come “termometro della fiducia” o misura del costo del debito. Sbarazzarsi di queste fuorvianti illusioni aiuterebbe a riflettere sui molteplici problemi strutturali della nostra economia, senza inscenare drammi e con la consapevolezza che non esistono soluzioni miracolose e rapide.
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