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Totò Riina (Foto Lapresse)
Chiacchiere e distintivi
Il copione della nuova stagione, quello delle “rivelazioni” fornite in intercettazioni carcerarie da Totò Riina ha qualcosa di loffio e pericoloso insieme.
Tenere viva la trama, e la conseguente attenzione del pubblico, sulla spompata telenovela della trattativa stato-mafia non è facile, lo abbiamo già notato. Ma il copione della nuova stagione, quello delle “rivelazioni” fornite in intercettazioni carcerarie da Totò Riina – già silente capo dei capi della mafia stragista, e ora loquace e quasi logorroico pensionato del crimine, che rievoca e fantastica sui bei tempi, infiorettandoli di bizzarra aneddotica – ha qualcosa di loffio e pericoloso insieme. Naturalmente, quando un cultore fanatico dell’omertà si mette a chiacchierare come una comare, nessuno che abbia buon senso può credere alle sue parole. Sull’inattendibilità delle “rivelazioni” e sul carattere spregevole della loro pubblicizzazione tramite i soliti giornali noti ha detto parole chiarissime pure il procuratore antimafia. Questo però non ha fermato la sopravvalutazione mediatica delle frasi “carpite” a Riina, che naturalmente non è così sprovveduto da non immaginare che ogni sua conversazione venga a conoscenza della magistratura (e, quindi, com’è prassi solo in Italia, immediatamente dei giornali). Naturalmente è giusto esprimere a don Ciotti la massima solidarietà per gli insulti minatori che sono stati riportati (e che forse sarebbe stato meglio e prudente non riportare). Altrettanto ovvio, però, è rammentare che la mafia, quella attiva, non ha mai avvisato nessuno degli attentati in preparazione. E si è mai sentito un capomafia esercitarsi in una stravagante esegesi delle omelie papali oppure vantarsi di un’appartenenza politica o addirittura di immani ricchezze accumulate di cui avrebbe tuttora la disponibilità?
In realtà alla recita di Riina non crede nessuno, nemmeno i giornalisti che ne hanno fatto argomento di commenti sussiegosi, nemmeno i magistrati che le hanno messe in piazza per coprire con una cortina fumogena l’emergere sempre più palese dei loro insuccessi investigativi e dell’infondatezza delle loro teorie, gabellate per indizi di reato. Resta da capire che gioco stia facendo Riina, adottando un comportamento che contrasta con tutte le regole non scritte dell’onorata società, e soprattutto che cosa pensino di ricavare dalla propalazione delle sue fanfaluche gli strateghi del giustizialismo. Forse né l’uno né gli altri agiscono in base a un disegno in qualche modo razionale, forse reagiscono in modo scomposto alla condizione di isolamento e di sconfitta già subita (per il capomafia carcerato) o che si teme imminente (per i diffusori delle sue esternazioni gabellate per intercettazioni carpite). Ma il gioco delle parti tra un vecchio delinquente e lo stuolo dei moralizzatori, non è inconsapevole, e resta un dato impressionante.
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