Armarsi o benedire
Tutti a chiedersi come farà il Papa a fermare il califfo. Boh
Due settimane dopo le parole del pontefice sui modi da usare per fermare i miliziani jihadisti che in Iraq perseguitano le minoranze cristiane e yazide, la stampa francese ancora s’interroga sul significato di quel “fermare l’aggressore ingiusto” ma “senza bombardarlo o fare la guerra”.
Roma. Due settimane dopo le parole del Papa sui modi da usare per fermare i miliziani jihadisti che in Iraq perseguitano le minoranze cristiane e yazide (parole pronunciate a braccio, durante la conferenza stampa aerea di ritorno dal viaggio in Corea), la stampa francese ancora s’interroga sul significato di quel “fermare l’aggressore ingiusto” ma “senza bombardarlo o fare la guerra”, concetto ben scandito – quasi sillaba per sillaba – da Francesco. Il Monde, a cavallo di Ferragosto, aveva già bollato come “fallimentare” la risposta della diplomazia vaticana, giudicata troppo lenta nel predisporre una risposta adeguata all’avanzata del risorto Califfato, sottolineando che perfino l’osservatore all’Onu di Ginevra, mons. Silvano Maria Tomasi, aveva detto che “un’azione militare forse in questo momento è necessaria”, mentre altri nella curia romana preferivano puntare sulla “multilateralità” e comunque sull’esclusione del ricorso alle armi in ogni caso, anche a protezione delle popolazioni costrette all’esodo. Per il filosofo e studioso di scienze religiose Jean-Sébastien Philippart, interpellato dal Figaro – che ha definito “troppo timida” la reazione del Pontefice –, stando alle parole del Papa “si tratterebbe di agire con violenza contro l’aggressore ma senza usare la violenza. Si vede in modo chiaro, qui, che Francesco si riferisce in maniera imbarazzata alla dottrina della guerra giusta, ma rifiutando di assumerne la dimensione bellica”. Secondo Philippart, Bergoglio si rifà ad Agostino, ed è convinto che non sia sufficiente per il soldato “conformarsi agli ordini”, bensì è indispensabile che “agisca senza odio nei confronti del nemico. In altre parole, il modo di fermare il nemico è importante quanto il risultato. Da qui, l’importanza di valutare i mezzi per una coscienza illuminata”.
Il fronte tedesco sulla “guerra giusta”
Il problema è che, trattandosi di valutazione soggettiva, le conclusioni poi possono divergere e, in qualche caso, anche dar luogo a contrasti tutt’altro che graditi ai vescovi delle chiese autoctone irachene che invocano d’agire in fretta per debellare – “far sparire”, ha detto il cardinale arcivescovo di Lione, Philippe Barbarin – l’Isis e i suoi tagliagole di nero vestiti. E’ il caso della Germania, dove non tutti tra i movimenti cattolici sembrano condividere la linea decisa dalla locale conferenza episcopale e illustrata dal cardinale Reinhard Marx, capo dei vescovi tedeschi: davanti alle milizie di al Baghdadi si deve agire “con tutti i mezzi a disposizione”, tanto che il cardinale Rainer Woelki, prossimo arcivescovo di Colonia, invitava la cancelleria di Berlino a muoversi di conseguenza. Posizione subito deplorata dal movimento pacifista Pax Christi, fondato in Italia dall’allora mons.
Giovanni Battista Montini negli anni Cinquanta, che conferma la netta opposizione alla fornitura di armi ai curdi schierati in prima linea contro la minaccia jihadista. La maniera per rispondere al califfo e ai suoi sodali, ha spiegato il portavoce del movimento, Harald Hellstern, deve fondarsi innanzitutto sull’invio di aiuti umanitari, quindi si debbono “fare pressioni sulla Turchia, l’Arabia saudita e il Qatar, in modo che rivedano il loro sostegno allo stato islamico”. L’ordinario militare tedesco, mons. Franz Josef Overbeck, tirando le somme del confronto, ha osservato che “è un dilemma in cui solo una cosa è chiara: che non fare niente non è una soluzione”. Un po’ come da tempo vanno dicendo le massime autorità religiose cristiane del vicino oriente, a cominciare dal patriarca caldeo di Baghdad, mons. Sako.
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