Maurizio Martina, ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali (foto LaPresse)

Un “franco dibattito” sugli Ogm all'Expo, chiede il ministro. Ma coltivarli no

Redazione

La lettera del ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali, Maurizio Martina, sulla questione Vandana Shiva e Ogm.

Al direttore

 

Ho letto gli articoli che ieri avete dedicato al tema Expo e Ogm. Per prima cosa vorrei fare chiarezza su quello che sarà l’Esposizione universale di Milano del 2015: una grande piattaforma di dibattito aperto, costruttivo e mi auguro efficace sulla sicurezza alimentare del pianeta e sui modelli agricoli che si vorranno sviluppare nei prossimi decenni per garantirla. Come paese organizzatore abbiamo scelto il tema “nutrire il pianeta, energie per la vita” non certo per porre veti, ma per aprire una finestra sul futuro delle idee, delle tecnologie, delle applicazioni e degli studi sull’alimentazione. Vogliamo stimolare un confronto senza preclusioni, che coinvolgerà oltre 140 paesi, organizzazioni e personalità internazionali che per sei mesi porteranno esperienze, buone pratiche e proposte che possano trasformarsi in decisioni globali. Ci sarà spazio anche per un dibattito franco sul tema degli Ogm, alla luce della partecipazione dei principali paesi produttori, a partire dagli Stati Uniti d’America. Di più: saranno rappresentate tutte le tesi, sia pro che anti Ogm. Ma Expo non si esaurirà soltanto in questo tema e ha l’obiettivo di diventare uno snodo importante per il futuro alimentare, anche nel quadro di aggiornamento degli obiettivi del Millennio che le Nazioni Unite discuteranno proprio nell’autunno 2015.

 

[**Video_box_2**]L’Italia farà la sua parte in questa Esposizione universale, coinvolgendo gli enti di ricerca e le migliori professionalità del settore, con gli interventi, tra le altre iniziative, degli scienziati del Cnr e del Cra. Le università saranno presenti con i loro autonomi progetti e le ricerche che riterranno più all’avanguardia. Non dobbiamo però commettere l’errore di sovrapporre il tema della ricerca solo a quello degli Ogm, quando questi ultimi sono una parte del primo. E qui voglio ribadire con forza che il nostro paese non è affatto all’anno zero della ricerca e non paga ricercatori a cui impedisce di lavorare, anzi. Lo dimostra ad esempio il numero del 18 luglio di Science, che ha pubblicato i risultati delle ricerche del Consorzio internazionale sequenziamento genoma frumenti, di cui fa parte il progetto italiano “Mappa fisica del cromosoma 5A”, finanziato interamente dal ministero delle Politiche agricole. Questo lavoro contiene nuove scoperte sulla struttura, sull’organizzazione e sull’evoluzione del genoma della specie più coltivata al mondo. Attraverso l’utilizzo di marcatori molecolari, sarà possibile selezionare nuove varietà più produttive, più resistenti alle malattie (limitando il ricorso a trattamenti chimici), più salubri (con meno micotossine) e di superiore livello qualitativo. A questi risultati possiamo aggiungere, ad esempio, gli studi fatti sull’orzo che hanno portato anche a un miglioramento delle rese e una maggiore resistenza alle malattie.

 

In generale poi vorrei ricordare che non è solo l’Italia a non coltivare Ogm. In soli 5 paesi al mondo si concentra oltre il 90 per cento della produzione (Usa, Brasile, Argentina, India e Canada). In Europa, messa da parte la Spagna che destina al mais Bt circa 135 mila ettari, per il resto la sua presenza è nulla o irrisoria (Portogallo, Romania, Slovacchia). L’Italia non è certo isolata nella scelta di non coltivare piante ogm sul proprio territorio. Dopo quasi quattro anni di dibattito è ormai prossima la decisione di dare agli stati membri la facoltà di limitare o proibire una coltura ogm anche se autorizzata dall’Ue. Questo sulla base di motivazioni di pianificazione territoriale, di impatto socio-economico e legate a obiettivi generali di politica agricola. Siamo sicuri che scegliere la competizione sulla produzione di commodity elevi il tasso di competitività complessiva del sistema agricolo italiano? Abbiamo le caratteristiche pedoclimatiche e morfologiche per sostenere la sfida sul piano dei costi? Non si corre il rischio di intraprendere la strada dell’omologazione? Sono quesiti che si stanno ponendo anche grandi player dell’agroalimentare italiano, risolvendoli con una scelta, prima di tutto economica, che va oltre gli Ogm.

 

Sia chiaro che da parte nostra non c’è nessuna avversione ideologica al tema, non siamo alla caccia alle streghe e non ci interessa una prospettiva oscurantista. L’Europa, come detto, si sta dirigendo verso la scelta autonoma di ogni paese e il Parlamento italiano si è espresso chiaramente contro le coltivazioni ogm. Questo non significa che la politica non si interroghi sul tema dell’innovazione, ma l’Italia forse più di altri ha il dovere di accogliere questa sfida salvaguardando e valorizzando le peculiarità del proprio modello agricolo, convinti come siamo che la distintività sia un valore per il futuro. Ciò non vuol dire essere nostalgici o conservatori di un mondo bucolico ideale, ma significa fare una scelta di politica agricola nazionale che tenda a dare prospettive di crescita anche sul medio e lungo periodo agli agricoltori. Non c’è dubbio che in questo schema la ricerca assuma un ruolo decisivo e proprio per questo continueremo a sostenerla, cercando di ottimizzare le risorse che abbiamo su progetti che aiutino il settore agricolo a fare un ulteriore salto di qualità e a proiettarsi in avanti forte del bagaglio di storia e di tradizione che ha alle spalle.

 

Maurizio Martina, ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali

 

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