Sanità inversa
I governatori assaltano Renzi per difendere il loro orto di consensi. E’ servito un tweet del presidente del Consiglio per placare gli allarmismi dei governatori delle regioni. “La revisione della spesa non significa taglio della sanità ma le regioni spendano bene”.
E’ servito un tweet del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, per placare gli allarmismi dei governatori delle regioni. “La revisione della spesa non significa taglio della sanità ma le regioni spendano bene”. Era bastata infatti l’indiscrezione su una possibile sforbiciata al Fondo nazionale per la sanità di tre o quattro miliardi di euro nell’ambito della manovra finanziaria del prossimo ottobre a motivare l’insurrezione da parte dei governatori di Piemonte, Lombardia, Liguria, Lazio, Campania con qualche strepito anche in Sicilia.
La motivazione dell’opposizione al governo è identica per tutti: con altri tagli ai finanziamenti per il Servizio sanitario nazionale sarà una catastrofe, chiuderanno gli ospedali, non saremo in grado di fornire servizi essenziali ai cittadini, crollerà il mondo. E’ una minaccia? Se a una maggiore spesa corrispondessero realmente migliori prestazioni, allora nelle regioni commissariate per eccessivo deficit sanitario – Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio e Molise – avremmo un’assistenza impeccabile, ma purtroppo non è così. Significative le dichiarazioni rilasciate ieri a Repubblica dal governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, che pure ha avviato una parziale razionalizzazione del sistema, quando dice che in caso di un taglio lineare del 3 per cento (ipotesi smentita) soffrirebbe per 300 milioni in meno quando la sua regione riceve ogni anno poco più di 10 miliardi di euro, una quota del 10 per cento sul Fondo nazionale della sanità. Sarà anche utile non insistere su una regione commissariata, come replica Zingaretti, ma è “possibile – chiede il giornalista – che su una cifra complessiva così non sia possibile tagliare?”. Un taglio del 3 per cento, se anche non fosse stato smentito, difficilmente potrà essere considerato un colpo letale se il finanziamento per il Servizio sanitario nazionale ammonta a poco meno di 337 miliardi di euro nel prossimo triennio.
D’altronde per anni i governatori di centrodestra e di centrosinistra hanno prodotto una difesa trasversale e corporativa pur di non aggredire, e risolvere, una serie di inefficienze che derivano da una realtà come quella ospedaliera che è una macchina complessa e ha una eterogeneità unica di “fattori della produzione” – è insieme un albergo, una mensa, un centro di diagnosi, di ricerca – attorno alla quale ruotano gli interessi di una moltitudine di fornitori che non vorrebbero essere scontentati e di potentati politici che nominano il personale di vertice delle strutture ospedaliere.
La realtà è che la sanità è il maggiore potere nelle mani dei governatori e che, in quanto concentrato di appalti e consenso, si presta a essere un deposito di clientele utili soprattutto a fini elettorali. Ciò rende oltremodo difficile riuscire a razionalizzare il Sistema sanitario nel suo complesso per risolvere un’ipertrofia che si riscontra scandagliando ogni meandro.
[**Video_box_2**]A quali logiche risponderà la necessità di avere 19 macchine per risonanze magnetiche per milione di abitanti quando Francia e Germania ne hanno meno della metà, soprattutto se le liste di attesa per usufruirne sono infinite? Oppure, a livello nazionale, ci si potrebbe chiedere perché la rete ospedaliera sia tuttora retaggio di una vecchia logica secondo la quale a molti letti corrisponde molto onore. Un approccio che non rispecchia più alla realtà, perché banalmente i trasporti in elisoccorso ora sono la normalità, o alle esigenze di una popolazione oramai in rapido invecchiamento, che soffre malattie croniche, e dunque non necessita di ricoveri ospedalieri ma di strutture più piccole, come ambulatori e centri di assistenza territoriali, che funzionano benissimo in Gran Bretagna.
Quando prevale la necessità di raggiungere risultati economici, i cambiamenti si vedono o almeno questo è accaduto in ambito privato. L’esempio più significativo arriva dalla ristrutturazione dell’ospedale San Raffaele di Milano che in due anni è passato dal rischio di fallimento all’attivo di bilancio grazie all’intervento, sotto la guida dello scomparso imprenditore Giuseppe Rotelli, di manager – tecnici – che hanno deciso di tagliare i costi per la fornitura di beni e servizi e del personale. Eccessi che, in parte, erano frutto degli investimenti non sempre oculati della precedente gestione di don Luigi Verzé. Sono stati mesi di proteste da parte dei lavoratori e dei sindacati dopo i primi annunci nel dicembre 2011. Rotelli decise di tagliare del 9 per cento i salari e del 25 per cento i costi dei servizi alberghieri (pulizie, mensa, cambio lenzuola) e per le forniture biomedicali, da quelle meno costose come i guanti sterili e le garze per finire con quelle più sofisticate come i pacemaker e le cannule chirurgiche. La stragrande maggioranza dei fornitori ha accettato e nessuno è fallito. I sindacati, dopo avere protestato a lungo davanti al nosocomio convenzionato milanese, hanno accettato le decurtazioni e, in cambio, i licenziamenti sono stati azzerati. Risparmiare nella sanità appare dunque possibile.
Davvero non è possibile replicare su scala nazionale, regione per regione, questo approccio al risanamento? Tutt’altro. Il paese certo non è più sull’orlo del fallimento finanziario, soprattutto grazie a interventi più grandi di noi, come quelli di Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, che ancora ieri è tornato a chiedere le (solite) riforme strutturali. Ma i dati della congiuntura economica non consentono troppa allegria: mentre a luglio, nell’Eurozona, la produzione industriale ha registrato un aumento dell’1 per cento rispetto al mese precedente, l’Italia ha fatto segnare meno 1 per cento. Sfatare il mito secondo cui un taglio dei costi è sinonimo di un taglio del servizio resta il primo passo per invertire la rotta.
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